Universale Economica Feltrinelli YVES PAGES LIABEUF L'AMMAZZASBIRRI < Feltrinelli ^ Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione febbraio 2012 ISBN 88-07-81830-2 www.feltrinelli.it Libri in uscita, interviste, reading, commenti e percorsi di lettura. Aggiornamenti quotidiani INTRODUZIONE «Rue Aubry-le -Boucher possono mandarti all' aria spianare i tuoi bordelli, i tuoi hotel e le tue camere dove si facevano scopare donne laide come questa che ha una passera nera sotto tette avvizzite. Possono truccarti con cemento e acciaio Possono cambiarti di nome e ripulire la tuafeccia La tuafama giudiziaria sard sempre associata a Liabeuf che sorride un mattino a Deibler. Di sera, in piazza degli Innocenti, mi fischiano le orecchie II suo fantasma perseguita gli sbirri. Li affetta. Con Vinganno I'hanno denunciato, condannato, ghigliottinato Malgrado low, la scampa. Se la svigna, Mollando infami, sbirri a piedi e guardie in bicicletta Che Aubry con la sua lama tatua a sangue» Rue Aubry-le-Boucher (in demolizione), Robert Desnos La Storia e una sorta di museo dove, appena vi si mette piede, si viene presi in consegna da guide specializzate che conducono in visita nelle diverse sale; illustrano le gesta di re, papi, nobili, politici, facoltosi personaggi; mostrano i ricordi di coloro che furono protagonisti di guerre, di conquiste, di invasioni; informano sulla nascita e sul crollo di Imperi e di Stati. Perche la Storia e essenzialmente un museo dedicato alia dinastia del potere, alia sua gloria, organizzato a sua immagine e somiglianza. Solo in poche sale, spesso chiuse al pubblico, sono reperibili i segni di parte di quell 'umanita che si e ribellata all'autorita e l'ha combattuta nel corso di sommosse o rivoluzioni. Qualo- 7 ra la dimensione dei fatti sia stata eclatante, non si pud fare a meno di riservarle un piccolo spazio. Ma, laddove e possibile, tutto cio che non ricorda ai visitatori l'obbligo etemo dell'ob- bedienza andra a finire negli scantinati bui dell'edincio. Sepol- to e dimenticato. Mai esistito. Cio spiega bene il motivo per cui, giudicato sconveniente ed epurato dai custodi della Storia, il nome di Jean-Jacques Liabeuf sia stato tramandato dalla letteratura. Ieri a salvarlo dall'oblio furono i versi del surrealista Robert Desnos, che mai scordo l'emozione provata da bambino, quando gli capito di assistere all'arresto del «vendicatore coi bracciali di acciaio» (vivendo per di piu nello stesso rione). Oggi a riproporne la memoria e quest'opera di Yves Pages, dal sapore un po' da feuilleton, ap- parsa in Francia nel 2001 a cura delle edizioni Insomniaque. E un merito che giustifica la sua pubblicazione in italiano, facen- doci superare anche l'allergia nei confronti della diffusa mania di romanzare il passato piu eccitante. Sotto il mantello della mitopoiesi, o dell'affabulazione, troppe volte si nasconde la piu squallida mercificazione della rivolta: frugare fra le ossa dei ribelli morti, fra i loro resti, alia ricerca di cimeli originali da piazzare su un mercato editoriale saturo di banalita. Ma Liabeuf non era un teorico, ne un agitatore. Non ha la- sciato dietro di se nessun fiume di parole da poter raccoglie- re, catalogare, commentare. Tanto meno e stato un bandito o un guerrigliero, con una vita piena di avventure da mitizzare. Niente di tutto cio. Nel 1910 e stato il protagonista di un fatto di cronaca nera che ha suscitato scalpore in Francia. La vendetta di un semplice operaio contro la polizia che ne aveva infangato la dignita, accusandolo e facendolo condannare per sfruttamen- to della prostituzione. Vindividuo contro lo Stato finira com'e abbastanza prevedi- bile, sulla ghigliottina. Ma non prima che la sua vicenda diventi un caso pubblico, sollevando aspri dibattiti sui metodi polizie- schi e arroventando gli animi. A Parigi la notte dell'esecuzione, mentre la lama scendeva sul collo di Liabeuf, trentamila manifestanti si batterono furio- samente contro l'infame sbirraglia. II suo nome sulle labbra. Questo libro narra quindi una storia che non c'e piu, che e andata persa. Anzi, che e stata demolita. Basti pensare ai quar- tieri popolari abitati da una popolazione povera, ma orgogliosa: la Montmartre «del piacere e del crimine», Les Halles, Bel- leville, Pantin, Aubervilliers, Clichy... Come ricordera Victor Serge, «uno dei caratteri particolari della Parigi operaia di quel tempo, era che si trovava a contatto in vaste zone con la teppa, cioe col vasto mondo degli irregolari, dei decaduti, dei misera- bili, col mondo equivoco». Le cosiddette classi pericolose era- no composte non solo da operai e artigiani in regola, ma anche da tutto un sottobosco di ladri, rapinatori, borseggiatori, truf- fatori, falsari, prostitute. Un anno dopo la morte di Liabeuf, in occasione della comparsa di Bonnot e dei «banditi tragici», un quotidiano parigino lamentera la presenza in citta di 200.000 fuorilegge su una popolazione di tre milioni di abitanti. Solo gli apache, gli appartenenti (il piu delle volte minorenni) alle bande di strada, venivano contati in 30.000 elementi. Si tratta di stime forse esagerate, ma che rendono bene l'idea di come la Parigi mondana e la Parigi sotterranea fossero due mondi dav- vero distinti e contrapposti. Fra il borghese e il proletario non v'era alcun rapporto dialettico, alcun confronto pacato, alcun dialogo costruttivo. Cera guerra, guerra sociale. Trovandosi a combattere dalla stessa parte della barricata, a vivere nei me- desimi quartieri, operai e teppa erano legati da un medesimo «spirito di classe» e da un forte sentimento di solidarieta. Non- che, soprattutto, da un odio viscerale per la sbirraglia. Un odio arcaico che non rischiava di estinguersi, trovando modo di rin- novarsi quotidianamente. In quegli anni, sotto il pugno di ferro di Georges Clemen- ceau, che da simpatizzante rivoluzionario era diventato «primo sbirro di Francia», ogni forma di disobbedienza e rivolta veniva repressa brutalmente. E mentre la polizia dava la caccia a tutti i criminali e i sovversivi, l'esercito non esitava ad aprire il fuo- co sui manifestanti. Molti scioperi e rivolte finirono con veri e propri massacri: a Perpignan (giugno 1907), a Raon-l'Etape 9 (luglio 1907), a Draveil (maggio 1908), a Vigneux (giugno e luglio 1908), eccetera. Non ci potevano essere dubbi, chi indos- sava una uniforme veniva considerato esattamente per quello che era: un sicario al servizio del potere. E questo il mondo andato perduto, annientato. L'urbanistica ha via via ripulito il centra delle citta dalle classi pericolose per scongiurare l'alchimia dei loro incontri sediziosi. Una vol- ta sostituite le botteghe disordinate con eleganti boutique, o le taverne fumose con rilaccati restaurant, ristrutturati gli edifici e rincarati i prezzi degli affitti, le strade di quei quartieri si sono svuotate della fauna selvaggia dei loro abitanti storici per riem- pirsi di onesti cittadini benpensanti — vera cancro della vita moderna. E questo intervento repressivo non poteva limitarsi agli spazi fisici, ma doveva prendere di mira alio stesso tempo anche quelli mentali. Ai costumi, alle usanze, alio stesso lin- guaggio, e stato inoculato il veleno del conformismo sotto for- ma di senso civico. L'essenza recalcitrante e stata soppiantata prima dall'integrazione, poi dalla partecipazione. Agli operai e stato insegnato che il lavoro nobilita e rende liberi, presup- posto per guardare con occhi pieni di gratitudine i padroni che lo offrono nonche per scavare un abisso di distanza da quei "parassiti" che lo evitano. Non solo, e stato loro insegnato che queste presunte nobilta e liberta sono messe a repentaglio da qualsiasi turbamento dell'ordine sociale. Da qui a passare dalla parte della polizia, il passo e breve. Se gia mezzo secolo fa Andre Salmon faceva rientrare il caso Liabeuf in una di quelle «storie precedenti la Prima Guerra; non le si capiscono piu molto bene, adesso», figuriamoci oggi! Ai giorni nostri siamo talmente abituati a vivere in metropoli asettiche, disegnate per venire incontro alle esigenze della mer- ce e del controllo sociale, attraversate da consumatori-telespet- tatori rispettosi della legge, da non riuscire piu nemmeno ad immaginare altro. Un centra cittadino abitato da operai e teppa uniti dall'odio verso il nemico in uniforme, con i sovversivi (a loro volta meta operai e meta teppa) pronti a soffiare sul fuoco della rivolta in ogni occasione — tutto cio esprime un mondo 10 diventato letteralmente impensabile. Come i sentimenti che lo permeavano. «Odio infinitamente perche amo senza riserve», urlava un anarchico della meta dell'Ottocento. All'inizio del Duemila si odia relativamente, perche si ama con molte precauzioni. Ecco perche un gesto come quello di Liabeuf puo apparire mostruoso. Perche gli esseri addomesticati non riescono piu a comprendere la furia di chi e indomito. La guardano con sospetto, con una smorfia a meta tra il timore e il disprezzo. Non comprendono come un cuore offeso possa attuare la Vendetta e non invocare la Giustizia (e vendetta "alia cieca", nemmeno compiuta sui di- retti responsabili, ma colpendo nel mucchio dei loro colleghi!). Non lo comprendono perche non hanno piu cuore. Un giovane artigiano, abile ciabattino, proletario orgoglioso di se, s'innamora di una prostituta. I poliziotti della buoncostu- me lo accusano di esserne il protettore. Sanno di mentire, ma vogliono dare una lezione a quella testa che non si abbassa al loro cospetto. A nulla varranno in tribunale le dichiarazioni del- la ragazza, del giovane artigiano, di chi lo conosce, nemmeno il suo datore di lavoro sara creduto. Come sempre accade, per il giudice fa fede la parola dei poliziotti. E condanna il ciabattino. La Societa decreta pubblicamente che Jean-Jacques Liabeuf e un volgare magnaccia. II suo cuore esplode di rabbia per questa umiliazione. Al- lorche esce di prigione, un solo pensiero prende possesso della sua mente. Non si rivolge all'opinione pubblica, non fa scioperi della fame, non invia lettere di protesta alle autorita compe- tenti, non fa presidi davanti ai tribunali, non si suicida per la vergogna. Ma pianifica la sua terribile vendetta. Si costruisce dei bracciali e dei paraspalle appositi, irti di punte d'acciaio per tenere a bada la stretta degli sbirri (che all'epoca giravano di- sarmati, contando solo sulla forza dei loro muscoli), si procura un'arma e va a caccia di colore che hanno calpestato la sua di- gnita. Non trovandoli, se la prendera coi loro colleghi. Ovvero con chi ha sicuramente mortificato qualcun altro o, nel miglio- 11 re dei casi, e quotidianamente complice di simili nefandezze. Sono stati gli sbirri ad averlo immerso nel fango insudiciando il suo amore, sono gli sbirri che lui vuole annegare nel sangue. Ed e quello che fara. Cosi Liabeuf prova «l'inebriante gioia della vendetta soddisfatta». Tutto cio non ha nulla a che vedere ne con la legge del ta- glione, ne con la Giustizia. La vendetta e un fatto privato, indi- viduale, non sa che farsene delle sciocche convenzioni sociali con cui si pretende di regolare la vita degli esseri umani. II cuore che sanguina non misura il proprio dolore col bilanci- no del farmacista. Pensare di consolarlo infliggendo una ferita analoga a chi lo ha offeso e calcolo da ragionieri, e ancora un tentativo di imporre un equilibrio a quanto di piu eccessivo vi sia: la liberta umana. Seguendo il biblico «occhio per occhio, dente per dente», cosa avrebbe dovuto fare Liabeuf? Calunnia- re e denunciare a sua volta gli sbirri per cercare di farli condan- nare a qualche mese di prigione? Anche se vi fosse riuscito, cio avrebbe significato mettersi sullo stesso livello, diventare come loro — un infame. La Giustizia e una pura astrazione, e solo un modo per met- tere ordine nei rapporti umani. Un formalismo inventato per (im)porre fine ai conflitti che possono nascere fra individui evitando che mettano a repentaglio la pace dei mercati e l'ordi- ne nelle strade, quel che la propaganda definisce «convivenza civile». La convenzione chiamata Giustizia sottrae all'arbitrio individuale la decisione di cosa fare dinanzi ad una offesa ri- cevuta. Non e piu l'essere umano concreto, in carne ed ossa, a reagire. Al suo posto interviene l'istituzione che, con il pretesto di disinnescare il rischio di una reazione a catena (faida), stabi- lisce una norma di comportamento cui tutti devono adeguarsi e al tempo stesso ribadisce il proprio monopolio della forza. Se e palese che la Giustizia serve esclusivamente gli inte- ressi di chi scrive le sue leggi, dello Stato, lo e molto meno la constatazione che essa sarebbe odiosa in qualsiasi circostanza, anche se a riportare la calma fra individui fosse un altro fe- ticcio collettivo (la famiglia, l'assemblea, il partito, la comu- 12 nita, il gruppo). Probabilmente non e un caso se anticamente con la parola vindicta si indicava la verga con cui si toccava lo schiavo che doveva essere posto in liberta. Perche grazie alia vendetta lo schiavo torna ad essere libera, si reimpossessa del libera arbitrio. Non delega a niente e a nessuno la risoluzione dei propri conflitti, li affronta in prima persona assumendosene la responsabilita. Cio pud apparire terribile, tipico della «legge della giungla», solo a chi ha introiettato la legge dello Stato al punto da considerarla unica misura dei rapporti umani. Ovvero, a chi non si rende piu conto che la liberta assomiglia effetti- vamente molto piu a una giungla piena di insidie che ad un convento in cui si prega e si lavora alio scopo di spegnere ogni passione. Ecco perche la storia di Liabeuf non fa parte della Storia. Perche il singolo individuo che si vendica deve scomparire di fronte alia Societa che fa giustizia, come la liberta deve scom- parire dinanzi all'autorita. E solo grazie all'abitudine alia Verita di Stato che chiunque indossi un'uniforme pud oggi intimidire, molestare, picchiare, stuprare, torturare, uccidere, massacrare... e dormire sonni tranquilli. Sonni che si spezzeranno solo quan- do il ricordo del vendicatore coi bracciali di acciaio uscira dalla finzione letteraria per andar loro incontro cantando al ritmo di una java. A Parigi, all'inizio del secolo scorso, l'anarchico Albert Li- bertad domandava dalle pagine del suo settimanale: «l'agen- te che ammazza e che mente non gioca con il fuoco quando fa gravare pesantemente il suo stivale di bruto sul cervello di quelli che pensano e ragionano? L'agente che uccide e calun- nia non teme affatto il ferro, mentre stritola con le sue mani di nullafacente le braccia di quelli che lavorano e producono? Questo simbolo deU'autorita abietta trovera sempre davanti a se dei rassegnati?». Un paio di anni piu tardi, questo interrogativo trovera nel ciabattino Liabeuf la sua risposta. Una risposta che oggi, pur- troppo, tarda ad arrivare. 13 Jean-Jacques Liabeuf Un particolare sentimento dell'onore, un senso quasi sacro di giustizia, condussero Liabeufal patibolo. Leo Malet 1. Quel sabato 9 gennaio 1910, i padiglioni delle grandi Hal- les sprofondano nella bruma invernale. Dall'altra parte di via- le Sebastopol, in un dedalo di vicoli tortuosi e mal lastricati, camminano figure dalle spalle larghe, in testa bombette o ber- retti con paraorecchie, con le mani affondate nelle tasche del cappotto. II ventre di Parigi ha sete. Sono gia passate le 6 di sera, e solo qualche smorto lumicino rischiara la vetrina della Mere Navarre, in via Beaubourg. Dentro la bettola piena di fumo, nessuno si e accorto che e piombata la notte. L'infima teppaglia ama troppo la penombra. Quattro nuovi clienti spingono la porta: tre uomini e la Grande Marcelle, un'abituale frequentatrice dei marciapiedi di Saint- Merri. Squadrandoli di traverso, la locandiera trattiene a stento un lieve moto di sorpresa. — Toh, riecco il Ciabattino... Non e molto prudente, sai. Colui che mamma Navarre ha appena apostrofato avra su- pergiu venticinque anni. Ciuffi bruni e ondulati fanno capolino dal suo berretto piatto. Ha la fronte bassa dell'uomo caparbio. Eppure il suo baffo sottile sollevato ai lati non e privo di ele- 15 ganza. La rotonda schiettezza del suo volto gli conferirebbe perfino una certa bonarieta se non avesse, quella sera, un'aria davvero cupa. I suoi occhi che si distinguono appena sotto la linea spessa delle sopracciglia, il mozzicone spento all'estre- mita del labbro, la mascella serrata e i lineamenti tesi alio spa- simo, tutto in lui tradisce il travaglio della sua mente. Pud darsi che sia solo la fatica accumulata in una lunga giornata di lavoro. L'uomo infatti indossa una tuta da operaio e il soprannome affibbiatogli dalla locandiera, «Ciabattino», non lascia alcun dubbio: si tratta di un apprendista calzolaio impiegato da un "aggiustascarpe" dei paraggi. Che il vecchio calzolaio l'abbia appena messo alia porta? Da qui la fredda collera che cova dentro? Pure un altro dettaglio non e sfuggito a mamma Navarre. II Ciabattino si e agghindato con una strana cappa nera. Cio non fa presagire nulla di buono, si dice lei mentre serve il vino bianco ai quattro clienti piazzati in fondo al tugurio. E mentre la locandiera torna al bancone, il Ciabattino estrae dal mantel- lo un involucre minuziosamente legato che disfa in un batti- baleno. — Tieni, Grande Marcelle, allacciami questo! — Sei sicuro di volerlo davvero? — chiede lei, esitante. — Si. — Non te ne pentirai? Ci hai pensato bene? — Si — ripete lui laconico. E tende alia giovane donna alcune strisce di cuoio lavorate in modo insolito. Si tratta di quattro spessi bracciali irti di pun- te di ferro. Si direbbero quei bracciali che erano soliti portare i gladiatori dell'antica Roma. O magari qualche accessorio da teatro di fiera. Ma qui nessuno ha l'aria di recitare una commedia. II Ciabattino si e gia rimboccato le maniche. La Grande Marcelle sa che ormai niente riuscira piu a scalfire la sua de- terminazione. Prende i due bracciali piu piccoli e comincia a fissarglieli sugli avambracci. Ripete l'operazione con l'altro paio, annodandoli questa volta attorno ai bicipiti, usando lac- 16 ci da stivale. Cosi corazzato, il Ciabattino accenna un sorriso di soddisfazione, abbassa sulle armi segrete le falde del suo mantello e tracanna il suo bicchiere. Attorno al tavolo, tutti sembrano conoscere l'esito fatale di quegli strani preparativi, ma nessuno azzarda il minimo commento. Bevono in silenzio. Solo la moneta che il Ciabattino getta con noncuranza sul ban- cone continua a risuonare, quando il gruppetto lascia il locale. La sera della vigilia si dava al Vaudeville la prima de La Barricade, un'opera di Paul Bourget che sbeffeggiava senza talento l'indolenza e l'alcolismo dei lavoratori sindacalizzati. Qualche strada piu in la, un consesso di signorotti col cappello a cilindro inaugurava una nuova linea della metropolitana (la n. 4), la prima a passare sotto i due rami della Senna: Porte de Clignancourt-Porte d'Orleans. Per l'occasione, un'immen- sa tavolata imbandita era stata allestita all'interno della stessa galleria appena ultimata, nell'area dell'attuale stazione Cite. Quel nuovo prodigio della tecnica stava li a sottolineare l'apo- geo di quella che piu tardi gli storici avrebbero chiamato, non senza nostalgia, Belle Epoque. In quell'avvio del 1900, infatti, nasceva il «secolo della velocita», usando l'espressione di un certo Bardamu. Con la seconda rivoluzione industriale, i Francesi imparavano a vi- vere nel quotidiano le conseguenze delle scoperte scientifiche del secolo precedente, in particolare l'elettricita e il motore a scoppio. II tram rimpiazzava a poco a poco l'omnibus a ca- vallo. L' automobile ormai non era piu un capriccio per soli sportivi, ma un mezzo di trasporto d'elite. Anche l'aeroplano cominciava a fare... i primi passi: Bleriot aveva appena attra- versato la Manica con successo. Quanto alle avanguardie artistiche, il cubista Picasso e il fu- turista Marinetti reclamavano con le proprie aspirazioni questa modernita in nuce. Ma queste minoranze iconoclaste andava- no forse troppo alia svelta. Disgraziatamente la Prima Guerra Mondiale fara tabula rasa del passato. In quel momento, all'inizio del 1910, nessuno poteva igno- 17 rare che una vasta frangia della popolazione parigina viveva ancora sotto il peso della piu nera miseria, quasi immota, quel- la dei bassifondi medievali del Marais. Attorno alle Halles infatti, tutto scorreva come se il mondo si fosse fermato ai tempi di Villon. II Ciabattino e i suoi compagni di strada risalgono a grandi passi via Saint-Martin e svoltano in via Aubry-le-Boucher. Poi entrano in una seconda bettola la cui insegna recita: Caves Mo- dernes. Stessa losca penombra, stessa atmosfera corrotta, stes- sa fauna di teppistelli, amabili figliole e beoni da dopolavoro. II bancone a forma di ferro di cavallo nasconde a malapena la stazza generosa di papa Ajalbert, gestore del locale. Come mamma Navarre, costui ha un sussulto alia vista del nuovo arrivato e dei suoi compagni. — Salute, Auguste! — Salute. Qui il Ciabattino viene chiamato Auguste. Passa per uno poco loquace e, nel mondo sotterraneo degli accattoni, malvi- venti, ubriaconi e chiacchieroni associati, questa e una qualita rara che permette di schivare proiettili e coltellate. Chi tiene alia propria vita, tiene a freno la lingua. Papa Ajalbert lo sa meglio di chiunque altro. Da buon bottegaio di Sebasto e din- torni, deve barcamenarsi tra i peggiori malfattori, i migliori confidenti e viceversa. Osservare tutto senza mai arrischiare un'osservazione. — Allora, che vi porto? — II solito ! — risponde distratto Auguste, alias il Ciabat- tino. «I1 solito !», cioe la specialita della casa: un sapiente mi- scuglio di assenzio e acquavite. «I1 solito !», un modo di dire quando non ci si fa vedere da mesi. Ma papa Ajalbert preferi- sce tenersi le proprie rifiessioni per se. I quattro compari si mettono in fondo al locale. II Ciabattino sceglie un tavolo appartato, sotto la chiocciola della scala in- terna e si siede con le spalle alia sala. Di fronte a lui, la Grande 18 Marcelle da le carte, osservando di soppiatto l'andirivieni dei clienti. Ognuno accende la sua cicca senza fiatare. Passa un'ora. E sono ancora la, piu che seduti stravaccati, mentre centellinano a piccoli sorsi il loro intruglio, comincian- do un'altra partita di manille, il gioco di carte del momento. Con lo sguardo assente, il Ciabattino si accende l'ennesima sigaretta e, per caso, con un movimento insignificante lascia intravedere dalle maniche i bordi dei suoi bracciali chiodati. All'improvviso, la sua voce rompe il silenzio soffocante: — Che faccia cupa avete, tutti e tre! Ebbene si, e guerra! E allora! Sapete cos'hanno fatto! Giusto? Non ho forse il diritto di vendicarmi? Marcelle, dillo tu ! — Si, d'accordo — risponde la giovane Marcelle con un sospiro — ma con loro non sarai mai il piu forte!... — E infine, parlate voialtri, e forse colpa mia? — esclama ancora il Ciabattino. I suoi due compagni abbozzano un gesto di protesta e fini- scono per scuotere tristemente la testa. — Hai ragione, ma e una partita persa in partenza, qui loro saranno sempre la legge — insiste con voce sconsolata la Grande Marcelle — D'altro canto, non e il caso di parlare troppo forte... In effetti un tale ha appena varcato la porta e si sta facendo servire un bicchierino di vino bianco al bancone. Da emeri- ta adescatrice, la Grande Marcelle conosce il proprio mondo. Avverte prontamente il Ciabattino con un'occhiata discreta: il nuovo venuto e in combutta con la polizia. — Cosa vuoi che m'importi — replica lui alzando apposta la voce — La guerra e stata dichiarata. Possono anche arrivare tutti gli infami del quartiere, ci penso io a farli fuori! Facendosi trascinare dal furore, il Ciabattino mostra ai pre- senti i suoi bracciali ed estrae da un astuccio di cuoio un trin- cetto affilato.. — Questo e per Flute e per Beau Gosse... li sistemerd per le feste, quei due! 19 Lo spione ha visto e sentito abbastanza. Tracanna d'un fiato il bicchiere e lascia il locale senza chiedere il resto. Le campane di Saint-Merri hanno suonato la mezza delle otto. Attraverso i vetri appannati della sua osteria, papa Ajal- bert vede stagliarsi alcune figure inquietanti, tutte uguali, che stanno appostate sul marciapiede di fronte. La rissa e ormai inevitabile. Fosse per lui, aiuterebbe Auguste a squagliarsela dal retrobottega, ma il suo senso degli affari gli impedisce di parteggiare per l'uno o per l'altro, soprattutto in un caso come quelle. . La Grande Marcelle si agita febbrilmente sullo sgabello mentre i due compagni del Ciabattino vanno a dare un'occhia- ta fuori socchiudendo la porta davanti. — Accidenti, ci sono sbirri dappertutto! — sussurra il pri- mo tornando. Quelle parole, invece di raggelare il nostra uomo, lo fanno infuriare. Si alza e apostrofa l'assemblea, sprofondata nel suo inalterato torpore etilico. — Sapevo bene che non avrebbero perso l'occasione. Che il primo giorno sarebbe stato quello buono. Io arrivo e loro sono la. Sanno che tra noi e guerra senza quartiere. Ebbene, che vengano ! Li avevo avvisati il 30 luglio, quando mi hanno acciuffato. Gli ho detto: lo sapete che sono innocente, ma state attend! quando usciro, regolero i conti con voi. Gli amici tentano di trattenerlo. La Grande Marcelle lo sup- plica di rimettersi a sedere. Tutta fatica sprecata. L'uomo coi bracciali di ferro e gia sulla soglia delle Caves Modernes. — Amici miei, ora ci divertiamo ! 20 2. Avvolto nel suo ampio mantello nero, il Ciabattino s'appre- sta a commettere l'irreparabile. La sua esistenza e appesa a un filo. E chi potrebbe mai chiedersi in cosa consista veramente questa vita, se quel giovane uomo di appena ventitre anni non si stesse apprestando a sacrificarla per un colpo di testa? Nessuno. Le notizie, cui la stampa dara eco successivamente, ci per- mettono comunque di dare qualche anticipazione sul ritratto esemplare di questo insignificante rampollo delle «classi la- voratrici». Jean- Jacques Liabeuf, detto il Ciabattino, vide la luce I'll gennaio 1886 a Saint- Etienne. Sua madre, Marie Vignal, gesti- va il chiosco del Teatro Eden che alternava attrazioni da fiera a proiezioni del piu moderno cinematografo. Suo padre, Andre Louis Liabeuf, vecchio minatore licenziato in seguito al crollo di un pozzo, dopo l'incidente lavorava nello stesso teatro come attrezzista, ovvero come manovale occasionale. Mori che suo figlio aveva appena quattro anni. Notiamo che questo decesso prematura consent! forse a Jean-Jaques di non patire la miseria nera delle famiglie troppo numerose. Non avendo che un solo fratello, veniva coccolato dalla ma- dre e da suo zio Paul, operaio cannoniere in una delle tante fabbriche d'armi della regione. Uno dei compagni di classe del giovane Liabeuf raccontava che era considerato un ragazzo timido, al punto d'essere soprannominato «la Ragazza». Ma il piccolo zimbello cambid presto la sua reputazione. Pieno d'inventiva e abile con le mani, scolpiva delle carote alle quali dava forme oscene prima di nasconderle negli zoccoli della domestica del direttore. Questi scherzi giovanili gli valsero molteplici punizioni, ma soprattutto il rispetto dei suoi primi complici in calzoni corti. Frequento quindi la scuola fino a tre- dici anni, eta in cui, come tutti i bambini del suo ambiente, 21 bisognava pensare a imparare un mestiere, se non si voleva finire in una di quelle «galere per fanciulli» o altre «colonie agricole» in cui i piccoli ladruncoli da strada venivano severa- mente "raddrizzati". Venne assunto prima da un tipografo. Forse fu grazie a que- sta breve esperienza che conservo un certo rispetto per i libri e una straordinaria padronanza della lingua scritta, come attesta la sua confessione scritta in prigione. Continuo la sua forma- zione nel campo del pellame. E qui scopri molto velocemente una parvenza di vocazione. A sedici anni, guadagnandosi gia da vivere come apprendista calzolaio, Jean- Jacques Liabeuf lascio il domicilio famigliare. Nei successivi quattro anni non si sapra niente di lui. Nessuna traccia fino al febbraio 1907. Arrestato insieme ad alcuni compagni di giri notturni per alcuni borseggi e furti nei negozi, fu condannato dal tribunale di Saint-Etienne a quat- tro mesi di reclusione. Descritto dal pubblico ministero come «il capo di una temibile banda», si buschera la pena piu pe- sante. Le cose stavano diversamente. Unico minorenne tra gli interrogati, si era semplicemente addossato i misfatti dei suoi compagni di rapina. Ma, appena uscito di prigione, riprese le sue losche frequentazioni, sara di nuovo arrestato per furto e condannato dallo stesso tribunale a tre mesi di prigione. Di recidiva in recidiva, il suo destino era gia segnato. Lia- beuf non aveva che una possibilita per farsi dimenticare e sfuggire a quel meccanismo infernale: partire per il servizio militare. Ed e cio che fece. Liabeuf quindi si arruolo. Dopo la lettura delle condanne elencate sul suo casellario giudiziario, fu spedito direttamente al battaglione d' Africa. La, al confine fra il deserto algerino e quello tunisino, dove si trovavano tutti i tipi di vagabondi, truf- fatori e criminali piu o meno pentiti, quelli che, tra i duecento- mila coscritti sorteggiati ogni anno, avevano gia affrontato il tribunale militare. I "pionieri" di questo battaglione d'Africa dalla sinistra re- putazione preferivano chiamarsi fra loro "zefiri", "camisardi", 22 "moncherini", "teste di vitello", a seconda che fossero piazza- ti nei lavori pubblici, alle compagnie disciplinari coloniali o nel penitenziario. Abbigliati con una giubba nera con spalline verdi e un chepi bordato di giallo, alternavano operazioni pro- priamente militari ai lavori forzati (sfruttati nelle miniere e a riparare strade). La severita delle sanzioni applicate alle "teste calde" ricorda l'arsenale delle torture ai tempi dell'Inquisizio- ne. Basta l'evocazione dei loro nomi: il bavaglio, le segrete, i ferri, la griglia, la tomba. Crani rasati e corpi impacciati sotto un sole a piombo. Tutto questo senza bere ne mangiare, a volte per parecchi giorni. Nel 1890, il romanzo di George Darien Biribi aveva gia at- tirato l'attenzione dell'opinione pubblica sulle sevizie inflitte ai soldati del «Bat' d'Af». Durante tutta la Belle Epoque la chiusura di questi particolari reggimenti veniva invocata, ma sempre rimandata. Nel 1908, malgrado una violenta campa- gna di stampa degli ambienti socialisti e libertari, due "pionie- ri" disertori furono comunque passati per le armi, due piccoli malviventi in erba che, come Liabeuf, si erano arruolati per «rifarsi una verginita». Come viveva Liabeuf il suo periodo di leva nelle «colo- nie»? Secondo la testimonianza di uno dei suoi compagni di caserma, il suo carattere «testardo come un mulo» gli valse prolungati soggiorni in cella d'isolamento. Senza attribuire troppa importanza a questo episodio della sua vita, tuttavia si evidenziera che il destino di Liabeuf fa stranamente eco ad al- cuni versi che un cantante di Montmartre, Aristide Bruant, ha consacrato a uno dei campi di detenzione militare: A Biribi, laggiu si crepa Di sete e difame Bisogna sgobbare senza tregua Fino alia fine... E si e selvaggi, vili eferoci Quando di la si torna. . . 23 3. Quando esce, Jean-Jacques Liabeuf chiude con un calcio la pesante porta delle Caves Modemes. Solo i bagliori evane- scenti di un altro cabaret, 1' Ami Paul, a qualche metro sulla si- nistra, gli consentono di andare per la sua strada in quel luogo malfamato oscuro e nauseabondo che collega via Saint-Martin alia grande arteria di Sebastopol. Con l'aria forzatamente spigliata, Liabeuf si fa avanti. Con la coda dell'occhio scorge appena i due uomini appostati nel- l'antro di un portone. Ma nulla riesce a turbare il suo fiero in- cedere. II ritornello alia moda che canticchia in punta di labbra gli trasmette un'andatura ondeggiante, quasi dondolante. Tanto vale sfidare il pericolo sull'aria di una giava: Noi siamo i poveri piccoli fanciulli I piccoli menati, i piccoli fottuti, I piccoli io-me, i piccoli tizi, I piccoli pazzerelli, i piccoli fantasm i, che son stufi del mestiere di marmocchi, che non ritornano e non torneranno piii! Ha appena fatto qualche passo che si sente afferrare da die- tro, da una stretta brutale. Si gira. Ma i suoi due assalitori gia indietreggiano, mentre si osservano le mani che sanguinano, sgomenti dal dolore. Si sono appena infilzati coi bracciali acu- minati del terribile calzolaio. — Ah, ah! Guai a stuzzicarmi! Credevate fosse facile avere il Ciabattino! Approfittando dello sbigottimento dei suoi avversari, Lia- beuf si slaccia il mantello ed estrae dalla cintura un lungo trin- cetto munito di un buon manico. Per quanto tempo riuscira a tenerli a bada cosi? Qualche lungo secondo che gli permette di squadrare i suoi avversari. 24 — Mastino!... Pappagallo ! . . . Non v'immischiate o paghe- rete per gli altri! Tutti sanno ora come stanno le cose. Una piccola folia di vagabondi ubriachi d'assenzio e di lo- schi sfaccendati si e gia radunata, e commenta a bassa voce il primo ass alto. — Questa poi, c'era da aspettarselo ! — Attenzione, eccone altri! Infatti alcuni agenti spuntano alle due estremita del vicolo. La mischia riprende. Munito di punte acuminate, di brac- ciali e di paraspalle, Liabeuf sembra invulnerabile. Adesso e lui a caricare, a testa bassa. II suo primo assalitore, Mastino, viene brutalmente crivellato di colpi di trincetto al petto. Otto colpi in fila, dicono. Pappagallo, il secondo, e colpito alia gola. Per due volte la lama affonda per una buona meta sotto il suo mento. La guardia Boulot, giunta alia sua altezza, vorrebbe domare il forsennato. Riesce solo a squarciarsi il palmo delle mani. I rinforzi arrivano da tutte le parti. Sul punto d'essere accer- chiato, il Ciabattino arretra, cerca di ritardare un nuovo assalto e si lancia infme nell'angusto corridoio dell'hotel du Rocher, al n. 4 di via Aubry-le-Boucher. La strettoia e a malapena ri- schiarata da un fumoso lumicino. E la, nell'oscurita di quel vicolo cieco, che trova qualche prezioso attimo di tregua. Benche pesantemente colpiti, i tre feriti non mollano. Si precipitano a loro volta nello stretto passaggio, tosto seguiti dagli agenti di polizia Hedembaigt, Vandon, Fevrier e dal sot- tobrigadiere Castanies. II piccolo pianterreno, luogo abitualmente propizio ai "traf- fici carnali", li costringe ad avanzare in fila indiana. E il buio complica ancor piu questa caccia d'ombre cinesi. Addossato a una porta, appoggiandosi alia rampa delle sca- le, Liabeuf li aspetta. L'agente Vandon si precipita, agguanta il criminale per il colletto e tenta di fargli mollare il trincetto che continua a brandire nella mano sinistra. La lama cade. 25 Ma per il Ciabattino non e ancora detta l'ultima parola. L'abile calzolaio ha ancora in riserva un «colpo segreto». E l'espressione che usera la settimana dopo un guitto da caffe- concerto. Ed e cosi. II forsennato ha appena estratto dalla cin- tura una rivoltella di grosso calibre. Due detonazioni riecheggiano nella penombra. Un uomo si accascia, Mastino, gia lacerato in pieno petto all'inizio della rissa. — Questa volta ho chiuso — rantola. — Facciamola finita! — grida il sottobrigadiere. L'agonizzante viene trascinato in strada. Una donna va a cercare soccorso in una vicina farmacia. All'interno dell'albergo malfamato, i poliziotti si gettano sull'assassino. Un nuovo spare. Qualche momento di panico. L'agente Boulot, ferito all'addome, ritorna nel vicolo. — Ha beccato anche me. Un altro agente riesce ad afferrare il Ciabattino per i capel- li e a sbatterlo a terra. Un'altra detonazione. II sangue scorre sul pavimento del corridoio man mano che i feriti tornano sui propri passi. L'agente Hedembaigt esce a propria volta, piegato in due. Gli si accalcano attorno. — Non e nulla, solo un colpo di striscio, ma se quello con- tinua ci uccidera tutti! Che succede ai piedi di quella scala? La battaglia imper- versa, una lotta da coglioni. Con flussi e riflussi, ordini e con- trordini. Costretto sui primi gradini, Liabeuf non ha bisogno di mi- rare. Tirando a caso dritto davanti a se, e quasi sicuro di fare centre a ogni colpo. Di quanti proiettili dispone? Ha un'altra arma da fuoco? A questo punto, tutto e possibile. Quel gioco al massacre i cui bersagli viventi sono i poliziotti, preventi- vamente sacrificati, rischia di durare un'eternita. E l'esito di quella baraonda selvaggia potrebbe rivelarsi piu incerto di quanto si poteva pensare in un primo momento. 26 E in quell'istante di indecisione che Fevrier sale al livello del forsennato, sfoderando la baionetta a sciabola, e gli assesta un violento colpo di punta sulla parte alta a sinistra del petto. Prima cade il revolver, poi un'enorme massa di carne rotola giu per i gradini. — Questa volta lo teniamo ! Ora gli agenti trascinano il loro nemico lungo il corridoio, tirandolo per i piedi. Col volto e il busto coperti di sangue, e irriconoscibile. — Linciamolo — propone un astante, ma la sua voce non trova alcuna eco. I poliziotti fanno buona guardia attorno al loro prigioniero ammanettato. E ognuno, nell'assembramento che s'ingrossa, osserva in silenzio il penoso straccio che giace sul selciato, sperando forse di scoprire su quel corpo sopraffatto la potenza segreta di un titanico lottatore che, appena qualche minuto pri- ma, teneva in scacco died uomini armati. rue Aubry-le •-Boucher 27 4. Benche gli episodi di truffa, gli schiamazzi, l'ubriachezza, le aggressioni, i regolamenti di conti, gli scassi, gli adesca- menti e le risse seguite da arresti burrascosi siano frequenti nei labirintici approdi del Marais, questa volta, per la brigata del IV arrondissement, il bilancio e pesante, molto pesante. Non meno di sette guardie malconce, due delle quali molto gravemente, da pallottole e da ferite d'arma da taglio: i poli- ziotti «in borghese», detti anche sbirri in civile, Celestin Deray e Lucien Fournes. L'agente Deray, che ha ricevuto otto colpi di coltello al petto e due proiettili in pancia, e un padre di fa- miglia di quarantotto anni, decano dei "civili" di Saint-Merri, incaricato da oltre quindici anni di pacificare quella roccaforte della malavita, un colosso dalla faccia piuttosto sgraziata e so- prannominato a ragione «Mastino». L'agente Fournes, che per una ferita aperta alia gola per- de sangue in abbondanza, e un padre di famiglia di trentatre anni, originario di Tarn, chiamato da tutti «Pappagallo» per l'imponente taglia della sua appendice nasale. Ferito tre anni prima sotto la scapola dal pugnale di un malfattore, l'uomo e gia stato decorato con la medaglia d'argento. Died anni prima, queste due "vittime del dovere" avrebbero fatto parte della tristemente famosa «squadra della buoncostu- me». Ma ormai non esisteva piu dal 1903, data in cui i deputati avevano varato una riforma della legge colpendo il piu antico mestiere del mondo. Sperando di porre fine al discutibile reclutamento da parte di questa «squadra» di confidenti piii o meno corrotti, il legi- slatore si era sforzato di decentralizzarne la struttura. Di fatto, la nuova "buoncostume" non era piu un corpo autonomo, ma l'insieme di un centinaio di guardie in borghese dipendenti, ciascuna, dal loro rispettivo commissariato. II quadro legale delle loro funzioni era cosi fissato: im- pedire alle prostitute di dedicarsi pubblicamente a scandalosi 28 adescamenti o di "deviare" i minorenni; controllare le insubor- dinate, ovvero quelle che rifiutavano di subire la visita medica; infine, arrestare i protettori che vivevano grazie agli introiti delle protette, rendendosi colpevoli cosi di «vagabondaggio speciale». Si noti come queste disposizioni fossero troppo recenti per essere conosciute dal grande pubblico. Si continuavano quin- di ad assimilare gli sbirri corrotti della vecchia squadra con i semplici poliziotti «in borghese» destinati al servizio dei co- stumi. C'e da precisare infine che, sottoposti giorno dopo giorno alle lusinghe danarose delle signorine di modeste virtu, quei poliziotti non avevano un compito facile. . . «Vittime del dove- re* lo erano quasi per definizione. Tornando alia stazione di Saint- Merri, il commissario Picot non pud che limitarsi a constatare le proporzioni del disastro. Meta dei suoi uomini e fuori combattimento. Tra un accesso di febbre e l'altro, l'agente Fournes fa rap- porto al suo superiore fornendogli le ultime informazioni sul sanguinoso arresto. A mano a mano che questi frammenti di spiegazione prendono corpo, il volto del commissario si irri- gidisce. Come se quella rissa senza precedenti gli facesse af- fiorare alia memoria uno sporca faccenda di cui sperava non sentir piu parlare. II graduate) Picot sa di non aver alcun interesse a risvegliare i vecchi fantasmi del passato. La sua versione dei fatti, che ri- mugina tra se e se prima dell'arrivo del giudice istruttore, pec- ca forse per omissioni, ma e incontestabile punto per punto. Quel 9 gennaio, verso le 7 e 30 di sera, mentre Liabeuf gio- ca ancora pacificamente a manille a un tavolino delle Caves Modernes, un uomo in tuta da operaio, un tale Toch, facchino ai banchi delle Halles e occasionale informatore del commis- sario Picot, abborda l'agente di guardia al commissariato di Saint-Merri. 29 — Occhi aperti stasera — gli sussurra confidenzialmente lo spione dilettante — Da Ajalbert, in via Aubry-le-Boucher c'e un tale che vuol rivoltare Flute e Beau Gosse. . . ! — Che vai cianciando? — replica l'agente, incredulo. — E come ti dico. L'ho appena visto col suo coltello nel locale. E non parlava a vanvera. E sceso alle Halles per imbat- tersi in quei due, l'ha ripetuto piu volte davanti a tutti. Te lo dico perche ne facciate tesoro. Ed ora, ti do la buonasera. La guardia racconta cio che ha appena sentito al brigadiere Stein. Altri agenti presenti in stazione lo confermano: in effet- ti, nel corso del pomeriggio, hanno sentito che un individuo di media altezza, avvolto in un'ampia cappa nera, si aggirava nel quartiere proferendo minacce omicide all'indirizzo di Flute e Beau Gosse. Dietro questi nomignoli, riconoscono subito due colleghi della loro squadra, l'agente Vors e l'agente Maugras, che per puro caso quella sera non sono in servizio. I poliziotti in borghese Deray e Fournes vengono quindi spediti sul luogo in esplorazione, e incaricati di appostarsi non lontano dalle Caves Modernes per arrestare l'agitatore. Sic- come l'informazione pare seria, altre cinque guardie vengono mobilitate nelle vicinanze delle vie Saint-Martin e Quincam- poix, per dar loro man forte in caso di bisogno. II seguito lo conosciamo gia. II magistrato Drapier ha ascoltato religiosamente questa rapida esposizione dei fatti dalla bocca del commissario. Sul momento, esamina in silenzio le armi del forsennato solita- rio. Sulla scrivania di legno massiccio del graduate Picot sono esposti i corpi del reato, inquietanti trofei di una caccia vitto- riosa, ma a quale prezzo. . . Prima di tutto, il trincetto. Una solida impugnatura in bosso su cui e stata innestata molto abilmente una lunga lama affila- ta e appuntita. Piu in la, un revolver calibro 8mm, tre bossoli vuoti e due cartucce di proiettili. E inline, chiazzate qua e la da macchie rossastre, quattro ampie guaine in cuoio irte per tutta 30 la lunghezza di aghi da tappezziere di qualche centimetre Nessuno dubita che tra qualche mese questo arsenale crimi- nale sara trasferito al Quai des Orfevres ed esposto in bacheca come uno dei piu curiosi trofei del museo della Polizia. Da allora il museo ha cambiato indirizzo, ma i mitici bracciali di Liabeuf vi figurano ancora. Gli agenti piu malconci sono stati trasportati d'urgenza al- l'ospedale maggiore. II commissario e il magistrato attendono di prendere in consegna l'istigatore di quella mischia selvag- gia, il "mostro"che e stato lasciato sul pavimento per una buo- na mezz'ora, mentre si prestavano i primi soccorsi alle forze dell'ordine. II Ciabattino si trova in un tale stato da essere sdraiato su una barella nel vestibolo del commissariato. Picot si dirige verso di lui e lo fissa senza lasciar trasparire nulla. Eppure quello sconosciuto dal volto impiastricciato di sudore e sangue rappreso e una vecchia conoscenza. Ma prefe- risce non rivangare il passato. — II suo nome? — chiede il commissario con voce neutra. L'uomo apre gli occhi, fissa le due figure di ufficiali ai suoi lati. Fa fatica a sostenere il loro sguardo. E l'inizio di un penti- mento? No, una smorfia di rabbia gia deforma il volto. — Non vuole rispondere? — riprende il magistrato. — La morte!... Razza di carogne!... AssassinilAssassiniL. E tutto. II Ciabattino ha radunato tutta la sua vacillante ener- gia per gridare queste ultime imprecazioni. Non si udra altro. — Ho appena visto le sue vittime e sono da compatire piii di lei — conclude il giudice istruttore spazientito. Ma il Ciabattino non sente. Ha gia perso conoscenza. II commissario si china, fruga negli abiti del forsennato inerte e scopre in una tasca interna un pezzo di carta a qua- dretti su cui e vergato: «Io sottoscritto certifico di aver assunto in qualita di operaio calzolaio il signor Jean- Jacques Leboeuf che mi ha lasciato libero da ogni impegno. Scritto a Parigi, il 29 luglio 1909». 31 Terminata la lettura, il poliziotto tende il foglio al magi- strate perplesso. In effetti, in fondo alia pagina e'e una sigla illeggibile. Bisognera attendere un paio di giorni prima che i servizi d'identita giudiziaria del professor Bertillon decifrino la firma del calzolaio Cedrac, la cui bottega e a un centinaio di metri dal luogo del dramma, al 112 di via Saint-Martin. Leboeuf, alias Liabeuf, ha forse abusato della fiducia del suo padrone facendosi assumere da lui sotto falso nome? Quel discutibile certificato di lavoro contribuisce in ogni caso a of- fuscare la personality del criminale. Tanto piii che quel nome falso ricorda stranamente quello di un certo Lebeuf, curato assai popolare della parrocchia di via Aubry-le-Boucher nella prima meta del XIII secolo. Questa prima coincidenza storica non tardera ad alimentare la leggen- da dell'«uomo coi bracciali di ferro». Ma, per il momento, il malinteso e presto chiarito. Fatte le verifiche presso l'artigiano, si accorgono che l'errore viene dallo stesso Cedrac il quale, in assoluta buona fede, non ha saputo trascrivere il nome del suo operaio con una esatta or- tografia. Al secondo piano dell'ospedale maggiore, sala Saint-Come, gli infermieri si danno da fare attorno agli agenti Deray e Four- nes, il cui stato e ancora giudicato disperato. II professor Gui- gnard, avvertito in tutta fretta, si reca al capezzale del primo. — Non ha che una sola speranza di guarigione — dice con- vinto — una laparatomia. Cioe, l'apertura chirurgica dell'addome. L'impossibile vie- ne tentato poco prima delle 11. Malgrado le complicazioni dovute a ferite secondarie accanto alia regione cardiaca, il me- dico effettua l'incisione ed estrae due pallottole dagli intestini perforati di Deray. Uscendo dalla sala operatoria, viene accolto dal prefetto di polizia in persona, Louis Lepine. Questo sessantenne di piccola stazza, dalla leggendaria bar- betta, dirige le forze dell'ordine parigine ormai dal 1893. Mal- grado l'eta avanzata, si e sempre sforzato di stare al passo coi 32 tempi. Creatore di un concorso per inventori nel 1902 — deno- minate) ovviamente concorso Lepine — e promotore delle piu recenti «squadre cicliste», l'uomo e tanto conservatore sulle questioni morali o politiche quanto progressista sui metodi di repressione da adottare. Secondo l'usanza, il prefetto di polizia e venuto in racco- glimento al capezzale delle due vittime del dovere. Egli offre ufficialmente la «medaglia d'oro al valore» all'agonizzante Deray e decora l'eroe Fournes con una «medaglia d'argento di prima classe». Installatosi nell'ufficio del direttore dell'ospedale, Lepine fa chiamare gli agenti Boulot e Vandon che, coi palmi del- le mani opportunamente bendati, si apprestano a far rientro a casa. Essi ricevono a loro volta due «medaglie bronzee». — Deray e perduto, ma salvero Fournes — conclude il pro- fessor Guignard al momento di riaccompagnare il prefetto alia sua vettura. Sul suo letto d'ospedale, Liabeuf rantola terribilmente. Di quando in quando, sputa grumi di sangue e lancia qualche in- sulto ai presenti. Ma e'e un dettaglio tragicomico che il crimi- nale ignora, dettaglio che non avrebbe mancato di nutrire la sua rabbia febbrile. Stanno cauterizzando le piaghe dell'agente Fournes, giusto nella stanza accanto. Per puro caso e incredibile ironia della sorte, il forsennato e le sue vittime sono stati piazzati in tre camere strettamente contigue, per le prime cure d'urgenza. E solo verso mezzanotte che il professor Guignard giungera ad esaminare lo stato di Leboeuf, alias il Ciabattino, alias Lia- beuf. Lui, l'Auguste, cosi impassibile di solito, e ora scosso da forti accessi di tosse che agitano mille coltelli nella propria fe- rita. La diagnosi e semplice. La baionetta della guardia Fevrier e penetrata profondamente, appena sotto il seno sinistra; il pol- mone e stato colpito; sono da temere complicazioni. Ma non e in pericolo di vita. II forsennato e stato colpito in altre parti del corpo? L'esa- 33 me dettagliato delle ferite, che avrebbe permesso di cogliere l'esatto svolgimento della rissa, non sara comunicato al pro- cesso. Dopo la partenza del professore, ha luogo un breve alterco sulla soglia della camera del criminale, tra i due poliziotti di guardia e l'infermiere di turno. Gli agenti, temendo che il loro prigioniero si strappi i bendaggi e tenti di mettere fine ai propri giorni, chiedono l'autorizzazione di legargli le braccia. — No — dice l'infermiere, che autentichera piu tardi il det- taglio di questa scena presso un giornalista. — Insomma, e se gli capita un accidente? — replica una delle guardie in uniforme — E un uomo terribile e capace di tutto. Noi l'abbiamo visto all'opera. — Non posso assumermi questa responsabilita. — Neanche noi possiamo prenderci la responsabilita della sua morte o della sua evasione. — E allora, insomma, fate cio che volete! Con l'aiuto di bende di garza e di una fasciatura, i poliziotti legano le braccia e le gambe del moribondo che si addormenta senza difficolta sotto l'effetto di uno sciroppo alia morfina. All' alba, quando ancora i due agenti, come angeli guardiani di prefettura, vegliano sul corpo saldamente legato di Liabeuf, un'infermiera socchiude la porta e mormora con voce sottile: — Deray e morto. Dal fondo del suo sonno febbricitante, Liabeuf non ha sen- tito nulla. E il sorriso che in quel momento uno dei poliziotti crede di scorgere sulle sue labbra non e che una coincidenza di cui solo Morfeo conosce il segreto. 34 5. E mezzogiomo del 10 gennaio 1910. Lo stato del criminale «coi bracciali di ferro» e sensibilmente migliorato: la febbre e scomparsa e le sue ferite sembrano in via di cicatrizzazione. Di qui il suo trasferimento all'infermeria della prigione di Fresnes a meta mattinata. II giudice istruttore Drapier, assistito dal cancelliere Girand, si dispone al capezzale del letto del detenuto. Un terzo uomo assiste all'interrogatorio, un avvocato non molto famoso, Lu- cien Leduc. Questa prima notte avra portato consiglio all'assassino con- valescente? Perlomeno accetta subito di declinare la sua vera identita. II magistrato gli annuncia che una delle sue vittime, l'agente Deray, e appena deceduto. — Tanto meglio, mi spiace solo che ne sia crepato soltanto uno! — esclama subito Jean- Jacques Liabeuf, con un sorriso di sfida sulle labbra. Nella stampa del giorno dopo, la sua replica indiavolata, nel senso proprio del termine, conoscera qua e la numerose varianti giornalistiche: «Mi spiace di non aver fatto piu orfani nella polizia!», o ancora «Come, non c'e che un morto? Cre- devo di averne fatti fuori almeno quattro!». Sta di fatto che il tenore di queste parole, che influira pesan- temente sulla giuria al momento del processo, rischia di non far approfondire l'oggetto stesso del colloquio: l'imparziale ricerca del movente e delle precise circostanze in cui l'atto criminale e avvenuto. — Riposate un po' — riprende il giudice con voce immutata — Non mi sembra che abbiate la testa a posto. — In effetti, ho di sicuro una testa di troppo. La pronta risposta non manca di umorismo, un humour nero, di circostanza. II giovane magistrato fa fmta di non avere senti- to e resta in silenzio. Ma la sua pazienza e mal ricompensata. — Se volete la mia testa — insiste Liabeuf — prendetevela! 35 Non vi date pensiero a prendermela! Da parte mia, vi assicuro che se avessi potuto prendere la vostra e quella di tutti gli sbir- ri, non mi sarei trattenuto! Queste nuove provocazioni verbali fanno sprofondare il giudice in un abisso di riflessioni. E solo l'arroganza passeg- gera di uno spaccone di periferia? O e invece il delirio di un essere colpito da debolezza mentale? O magari la professione di fede di uno spirito antisociale esaltato dalle parole d'ordine omicide di un anarchismo elementare? Tanto odio sconcerta, tanta indifferenza di incorrere in una condanna pure. II magistrato non riesce ancora a decidersi tra questi tre ipo- tetici ritratti dell'assassino che gli sta di fronte. Si tratta forse di un capo incallito di una banda di magnaccia di Sebasto, che spera di trarre con le sue millanterie qualche ulteriore grati- ficazione tra la congrega dei piccoli malviventi? Si tratta di un bruto degenerate incapace di pentimento perche accecato dalle sue bestiali inclinazioni? Infine, si tratta forse di un mo- demo martire della causa rivoluzionaria, un oscuro discepolo di Ravachol che rivendica alto e forte il suo attentato contro le forze dell'ordine? La perplessita del giudice Drapier e all'apice. Non pud con- cepire senza inquietudine queste tre ipotesi, poiche nessuna di esse da ancora un significato verosimile a quella mattanza. E nulla e piu scoraggiante per un novello magistrato come lui, quanta la prospettiva di un assassinio senza movente, di una serie di atti criminali gratuiti. In quello stesso momenta, all'ospedale maggiore, un "in- fermiere" fa il suo ingresso nella stanza dove ancora giace l'agente Fournes,. In realta, si tratta di un giornalista di Le Ma- tin che indossa un camice bianco per eludere la vigilanza dei poliziotti di guardia. II falso infermiere raccoglie quindi le prime impressioni dello scampato. — Va meglio — risponde il poliziotto con la testa fasciata da un voluminoso bendaggio — ma ho paura che il braccio colpito ormai non mi sia quasi piu di alcuna utilita. . . 36 L'intervistatore e preparato: si e procurato, non si sa come, una foto del forsennato. Mostra lo scatto all'agente Fournes. — II bandito... e proprio lui! Riconosco i suoi occhi deci- si, quella faccia sinistra, la cui immagine rimarra per sempre impressa nella mia mente. Se avessi potuto prevedere quel che sarebbe successo, l'avrei fermato col revolver in pugno e, al minimo gesto, l'avrei fatto fuori come un cane, come il selvag- gio che e. Guardate qui le mie dita trafitte, i palmi lacerati, e dire che e la, nella stanza accanto alia mia! Se ci penso. . . II convalescente riprende fiato prima di proseguire con voce tremante, ma sempre implacabile. — Pud darsi che se la cavi, lui, mentre il povero Deray, brav'uomo e padre di famiglia, ci ha lasciato la pelle. Spero che se guarira, questo miserabile, sara per salire subito dopo sulla forca, e vorrei che mi si permettesse allora di andare ac- canto alia ghigliottina, si, per veder cadere la sua testa. Al capezzale di Liabeuf , il magistrato prosegue il suo primo interrogatorio, incappando sovente nel mutismo dell'imputato. Durante ognuno dei suoi silenzi, sembra che passi un angelo, ma quest' angelo ha gia assunto le sembianze del boia Deibler. Un silenzio d'oltretomba. — Sapete cosa rischiate rifiutando di rispondere alle mie. . . — Me ne infischio della morte — lo interrompe Liabeuf — come di tutti voi. Faccio questa dichiarazione non per ol- traggiarvi, signor giudice, ma per farvi capire che, infischian- domene di tutto, anche del vostro famoso signor Deibler, pos- so parlare in tutta sincerita. Lanciata quest'ultima sfida, l'uomo inizia il racconto del massacro della vigilia. II cancelliere trascrive senza fatica la sua confessione dal tono monotono. II giudice Drapier, sol- levato da questa tardiva prova di buona volonta, si accorge pero abbastanza in fretta che ha poco da apprendere da questa nuova versione dei fatti. I richiami all'omicidio durante l'attesa al caffe, poi la zuffa sanguinosa in mezzo alia via Aubry-le-Boucher, e inline gli 37 spari nel corridoio dell'albergo... tutte tappe gia annotate dal giudice. Le confessioni dettagliate del criminale non aggiun- gono, per cosi dire, nessun nuovo elemento. Ne l'omicidio vo- lontario dell'agente Deray, ne i tentativi di omicidio degli altri sei agenti hanno bisogno di questa conferma. Quanto alia premeditazione, anch'essa e piti che evidente. Le testimonianze delle guardie a proposito delle minacce rei- terate del forsennato contro di loro, cosi come i lunghi prepa- rativi che quei bracciali di ferro finemente lavorati indicano, tutto coincide, a dimostrazione che quel furioso assalto e stato preparato da lunga data. Al momento, la deposizione dell'accusato ha un tono quasi meccanico. II magistrato sente che gli sta sfuggendo l'essen- ziale. — Ma voi, avete ucciso un agente che non vi aveva fatto assolutamente nulla! — taglia corto aH'improvviso col tono di una sincera indignazione. Liabeuf si solleva appena e guarda fisso il suo interlocuto- re. Sembra punto sul vivo. — Ah, voi volete sapere perche ho steso gli sbirri, ebbene, ve lo diro. Sono stato condannato ingiustamente, ma i giudi- ci non potevano farci nulla, e la polizia ad essere colpevole di questa vigliaccata, sono stati loro, e soltanto loro, e io mi sono vendicato su di loro. Sono stato arrestato Testate scorsa da due agenti in borghese, Maugras e Vors, che pretendevano di avermi visto ricevere del denaro da una donna per la strada. In base alia loro testimonianza, il tribunale correzionale mi ha appioppato tre mesi di prigione e cinque anni di divieto di sog- giorno. Ma ero innocente, lo giuro. D'accordo, avevo relazioni ambigue; sono anche stato, ad intervalli, l'amico di una ragaz- za gentile, la signorina Alexandrine. A questo punto, impallidisce e fa una pausa. II tempo di riprendere fiato. II tempo, anche, di trovare le parole giuste. — Questo, lo ammetto. Ma mai una donna, ne quella ne un'altra, mi ha pagato. Affermando il contrario, gli agenti han- no mentito. Ecco perche ho giurato di vendicarmi di loro. Ap- 38 pena uscito da Fresnes, sono ritornato a Parigi per mantenere la mia promessa. Ieri mattina tutto era pronto per la mia grande spedizione, avevo il revolver, il trincetto, i bracciali. Sono sceso a Saint- Merri, pensando di incontrarvi i miei nemici. D'altronde, lag- giu tutti sapevano che ce l'avevo con la polizia e in particolare con Maugras che mi aveva arrestato. Mi hanno attaccato, mi sono difeso. Io ammetto tutto cio che volete e non rimpiango che una sola cosa, di aver mancato il colpo. . . Liabeuf, scaldandosi via via mentre parla, mostra a un certo punto un calo di tensione. Pare sul punto di svenire. II giudice si alza e fa segno al cancelliere che l'interrogatorio e sospe- so. Dopo tutto, ha appreso a sufficienza per oggi. Avra tutto il tempo di chiarire gli ultimi dettagli rimasti oscuri, tra qual- che giorno, quando il prigioniero dimesso sara incarcerato alia Sante. Per ora, il caso sembra chiaro. Non e l'opera ne di un de- mente irresponsabile, ne di un nichilista o di un partigiano del- l'azione diretta. Gia condannato per sfruttamento della prosti- tuzione, Jean- Jacques Liabeuf non e che un semplice pregiu- dicato desideroso di vendicarsi con le armi di chi l'ha spedito dietro le sbarre. Restano le sue continue proteste d'innocenza, ma non fanno parte del rituale di ogni deposizione? Qualsiasi malfattore, una volta incastrato, sceglie di confessare dapprima i crimini meno contestabili, e si sforza in seguito di negare gli altri. Sollevato, il giudice Drapier assapora la sua vittoria. II caso Liabeuf e quasi chiuso. Un caso quasi banale che illustra la lotta senza pieta che si fanno ogni giorno la teppaglia e la po- lizia. Luna, per spirito di vendetta; l'altra, per spirito di giu- stizia. Un fatto di cronaca senza troppi misteri, quindi, ma mo- ralmente molto edificante. Poiche per l'uomo della strada di quest' epoca, si tratta di una guerra tra due mondi, quello della gente onesta che vive dei frutti del proprio lavoro e quello dei profittatori di ogni risma. Se la repubblica borghese illumina- ta in questi anni del 1900 vuole agghindarsi di elevate virtu 39 sociali, non lo fara sostenendo l'operaio laborioso contro gli oziosi benestanti, ma proteggendo i cittadini di tutte le classi dai parassiti fuorilegge. II magistrato ha fatto il suo dovere. Ha separate ancora una volta il buon grano dal loglio. Pud prendere congedo a testa alta. L'avvocato e rimasto solo al capezzale dell'assassino, che pare assopito. Alio stato attuale la causa, anche in vista di qual- che circostanza attenuante, si preannuncia delicata da difende- re. Leduc sa bene che l'omicidio volontario con premeditazio- ne conduce dritto alia ghigliottina. Ma non bisogna dare nulla per scontato. — Mi presento: sono Lucien Leduc, avvocato di tribunale. Io sono... — Non so proprio se un avvocato mi sara utile — l'inter- rompe subito il ricoverato in stato di semi-incoscienza — che sento la mia testa gia vicina alia macchina di Deibler. Ma giac- che si usa, ne voglio uno lo stesso. Non si sa mai. . . 6. Costretto a letto per diversi giorni neH'infermeria di Fre- snes, Jean- Jacques Liabeuf ritoma con la mente ai suoi giorni felici. Soprattutto a quella primavera del 1909, che si annun- ciava sotto i migliori auspici. All'epoca alloggiava al 132 di via Saint-Martin, in uno di quegli alberghetti malfamati dove si sosta di notte per otto soldi e da dove capita di sloggiare in fretta, e senza lasciare indirizzo. Operaio presso Serac, un mastro calzolaio che ave- va bottega qualche numero piu in la, Liabeuf conduceva allo- ra una vita regolare, benche non del tutto ordinata. Con altri due novellini, risuolava soprattutto le scarpe dei passanti e dei commercianti delle Halles, e gli stivaletti che si consumavano in fretta delle passeggiatrici da marciapiede. Ma eccelleva so- prattutto nel ricostruire scarpe, riuscendo a creare nuovi mo- delli coi "gambaletti" presi da vecchie calzature. Un lavoro accurate svolto senza mai assentarsi, tranne che per bere il suo rituale bicchiere di latte a mezzogiorno. E ogni sabato, dopo aver ritirato la paga settimanale, la dila- pidava senza badare a spese nei bistrot di Sebasto. Altri avreb- bero utilizzato quei 52 franchi alia settimana per raggranellare una piccola somma. Ma Liabeuf preferiva pagare da bere e da mangiare ai suoi compagni di giri notturni. Tra di loro, e'erano vagabondi squattrinati e lavoratori precari, ma anche malvi- venti abili col pugnale e scassinatori di bassa lega. E, dopo tut- to, non erano affari suoi. Gli capitava anche di bere qualcosa con la Grande Marcelle, una signorina di modeste virtu senza un protettore alle calcagna che, dall'alto dei suoi 23 anni, pas- sava per la decana delle battone del posto. In effetti, era solo "un' arnica" che frequentava con intenzioni serie. Benefattore di una moderna corte dei miracoli, amava donare assistenza. Niente di male in questo, a priori. La sua naturale generosita gli valse una buona reputazione tra la variegata fauna dei bordelli di Beaubourg. Tuttavia que- sta vita dispendiosa, condotta giorno dopo giorno senza discer- 41 nimento, lo rese ben presto sospetto agli occhi dei poliziotti in borghese e degli informatori infiltrati qua e la. Una sera, mentre vuotava una mezza bottiglia di bianco, vide passare davanti all'Ami Paul la sua "arnica" con un cor- petto bianco di raso, una gonna plissettata e una mantellina a quadretti. La Grande Marcelle era «in libera uscita». Un'altra ragazza allegra l'accompagnava. Senza dubbio, era lui che la sconosciuta indicava con le sue piccole e giovani dita attraver- so il vetro. La Grande Marcelle non tardo a venirlo a cercare. — La mia socia ha una cotta per te — gli sussurro all'orec- chio — Vuole parlarti. Con un gesto civettuolo, Liabeuf si riaggiusto sulle ampie spalle il maglione bianco che sfoggiava ogni sabato col bel tempo e raggiunse la sua misteriosa conquista sulla soglia del- l'osteria: una piccola brunetta dagli occhi neri che rispondeva al dolce nome di Alexandrine. II nostra Ciabattino, piuttosto impacciato col gentil sesso, subito s'invaghi di colei che chiamavano anche Didine Cen- drillon [Cenerentola] perche aveva recitato nel ruolo della principessina alle scuole elementari. Per qualche tempo, Lia- beuf visse una vera fiaba. Ma non ci si mette facilmente con una ragazza che si pro- stituisce, a meno di non diventare un magnaccia. Altrimenti tocca accontentarsi dei resti. Da qui la decisione del giovane calzolaio: far abbandonare quella vita alia sua amata, salvarla dal marciapiede. Ma per farlo occorreva che Didine fosse libe- ra. Al momento, la giovane lucciola viveva sotto l'autorita di un ragazzone, un protettore chiamato Gaston. Alia fine di giugno del 1909, il nostra timido innamorato sfido Gaston a duello. L'incontro fu fissato dietro la chiesa Saint-Merri — luogo rituale dei regolamenti di conti fra "ca- valieri" del crimine. Ma, nel momento in cui i contendenti tira- rono fuori le lame, un nugolo di agenti si staglio all'orizzonte impedendo che la singolar tenzone si concludesse. Cosi, non avendo potuto aver ragione del suo rivale, Gaston 42 perse la faccia. Ormai Didine non nascondeva piu il proprio trasporto per il suo Ciabattino: una pasta d'uomo, un po' sem- pliciotto e testardo, ma cosi sinceramente appassionato da re- starne commossa. II protettore non aveva ancora detto la sua ultima parola. Certo, non aveva vinto regolarmente, ma gli restavano altri colpi in canna. A meno che, con l'aiuto di circostanze fortuite, la vendetta non gli venisse servita su un piatto d'argento. Questo contrastato amore tra la graziosa Didine e il proleta- rio Liabeuf non faceva presagire nulla di buono. Rammentava curiosamente le premesse di un altro idillio dal funesto destino da cui il cineasta Jacques Becker si ispirera per il suo film, Ca- sque d'Or. Ben prima che Simone Signoret prestasse il proprio volto a quel mito della Belle Epoque, una certa Amelie Helie, detta Casco d'Oro, aveva fatto parlare di se le cronache giudi- ziarie d'inizio secolo. Compagna abituale di Manda, un temuto capoccia del quartiere di Charonne, la bionda passeggiatrice, proprio come Didine, si era fatta sedurre da un tranquillo operaio metallur- gico, Dominique Leca. Quest'ultimo, volendo ad ogni costo farle lasciare il marciapiede, scelse di conquistare il cuore del- la sua bella entrando nella banda del rivale Manda. Com'era prevedibile, il conflitto d'amore non tardo a degenerare. I due "prediletti" di Casco d'Oro avevano ciascuno i loro partigiani. Furono organizzati numerosi duelli, che si trasformarono in una serie di furiose battaglie. Leca fini per pagare la sua teme- rarieta con due pallottole in pieno petto. Manda fu arrestato poco dopo e condannato ai lavori forzati il 31 maggio 1902. L' operaio che aveva cambiato vita, ritenuto colpevole di qual- che delitto minore, fu incarcerato a Fresnes. L'amazzone dai capelli d'oro, oggetto di tutte le contese, aveva perduto i suoi due amanti nella vicenda, ma ottenuto una durevole celebrita. Alcuni autori vollero mettere in scena quel dramma passionale al teatro dei Bouffes-du-Nord. Lo spetta- colo venne vietato dal prefetto Lepine. La protagonista, viven- 43 do di rendita con la propria leggenda, riusci a farsi mantenere da ricchi ammiratori fino agli anni 20. Apri anche una casa chiusa nel quartiere di Montpamasse, senza molto successo. Le cose finirono male. Maitresse prima, poi merciaia, infine vecchia zitella in miseria. . . mori dimenticata nel 1941. Dal celebre processo del 1902 data un'altra leggenda, quel- la degli «apache». In effetti, e in quel periodo che si comin- ciarono a definire cosi i piccoli "duri" e altre canaglie dei sob- borghi parigini. Nessuno conosce esattamente l'origine di quel termine. Poco importa, era nata una moda. Le Journal e Le Matin crearono nel 1907 una speciale rubrica intitolata «Paris- Apache». L'appellativo riguardo a poco a poco ogni tipo di delinquente che fosse giovane, povero e "ai margini". C'erano stati i «malandrini» e i «monelli», un giorno ci sa- rebbero stati i «teppisti». Per il momento, l'«apache» rappre- sentava la novita. A meta luglio, «un giovane apache pallido e bruno, col ber- retto e un singolare taglio di capelli» viene messo sotto sorve- glianza dagli agenti Eugene Maugras e Henri Vors. Come attestano i rapporti della polizia, il pedinamento del sedicente calzolaio Liabeuf ricomincia il 24, poi il 28. II 30 dello stesso mese, le guardie finiscono per sorprendere il so- spettato nel momento in cui riceve del denaro da una certa Marcelle Pigeon, detta Didine Cendrillon, domiciliata all'83 di via Saint-Martin e sedicente «vendi trice ambulante» di pro- fessione. Fermati e condotti alia stazione di polizia del IV arrondisse- ment, vengono interrogati dal commissario Picot. Negando in modo accanito l'evidenza, Liabeuf assicura di non conoscere la sua compagna d'arresto. Lei dichiara a sua volta di non aver mai avuto alcuna relazione con lui e sostiene d'essere l'amante mantenuta di un commerciante del quartiere. Gaston avrebbe potuto infine cantare vittoria, in apparenza senza entrarci per nulla. II legame che univa l'artigiano e que- sta novella Casco d'oro stava per essere spezzato per sempre. 44 La versione strettamente poliziesca dell'arresto di Liabeuf non corrisponde evidentemente a quella difesa dalla prostituta. Ma la testimonianza di Didine arrivera troppo tardi per avere il minimo peso in quel caso: un ritardo sottilmente orchestrato, diranno alcuni. Messa in cella nella prigione di Saint-Lazare per aver sal- tato i controlli d'igiene poco prima del processo correzionale, Didine non pote essere presente al tribunale a perorare la causa del suo amico accusato di «vagabondaggio speciale». Nessuno tenne mai conto della sua esposizione dei fatti, raccolta sul- la terrazza di un caffe da un giornalista della Guerre Sociale: «Allora, ecco com'e successo. Una sera, Jean mi aveva pagato un bicchiere all'Ami Paul. A un certo punto, l'ho lasciato. Ho fatto un giro. Cosi ho incontrato tutta la squadra: Flute, Blair d' Azor, Medaille, Puce. . . mi hanno apostrofato come mai ave- vano fatto... » spiego Didine, che sembrava rivivere la scena mimandola davanti al giornalista. Di fatto, il seguito del racconto non mancava di verosimi- glianza. — Vedi di circolare, puttana! — abbaia il piu nerboruto de- gli agenti, Deray, alias Mastino. Didine se lo tiene per detto e, ritornando all'osteria, incro- cia Liabeuf che e appena uscito. Eccoli che camminano, sot- to braccio, nel vicolo Aubry-le-Boucher. All'angolo della via Saint-Martin, Liabeuf scioglie l'abbraccio. — Buonasera Dinette, sono stanco — sussurra accarezzan- dole la nuca — Domattina comincio presto, vado a dormire. . . Non ha il tempo di completare la frase. Quattro agenti l'han- no gia circondato. Conducono senza troppi riguardi la coppia alia stazione di Saint-Merri. — Perche arrestate quell'uomo? Sapete bene che lavora, che e uno regolare! . . . — si lamenta Didine all'arrivo del com- missario Picot. — E sistemato! E il ruffiano della piccola! — taglia corto l'agente Maugras. 45 — Ma chiedetelo al suo padrone! Chiedetelo al proprieta- rio ! . . . — riprende piena di collera la piccola Cendrillon. II commissario sorride e fa segno agli agenti di condurre il nuovo venuto nel "buco". — Non te la prendere, Dinette — le butta li, calmo, Liabeuf prima d'essere messo in gabbia nel sottosuolo del commissa- riato — Sai bene che non ho nulla da temere. Domani, quando mi rilasceranno, saranno loro a porgermi le scuse. . . Che si presti fede alia versione della prostituta o ai rapporti dei pedinamenti della polizia, ormai appare evidente che l'uo- mo con la «cappa nera», segnalato alia stazione Saint-Merri poco prima della rissa mortale in via Aubry-le-Boucher, non era un anonimo malvivente, ne il primo sospetto arrivato. Per tutta la squadra del IV arrondissement, il Ciabattino, alias Lia- beuf, era gia noto. Se il commissario Picot aveva preferito non evocare davan- ti al giudice istruttore il suo primo incontro col criminale, e perche non aveva voglia che si andasse a esaminarlo troppo da vicino. E con ragione. 46 7. II 14 agosto 1909, il presunto innocente e supposto ma- gnaccia Liabeuf fu giudicato dal tribunale correzionale della Senna. Durante l'istruttoria, l'accusato aveva beneficiato del- l'assistenza di un giovane avvocato d'ufficio, Deloncle. Que- st'ultimo, ancora in tirocinio e assente da Parigi al momento del processo, aveva invano tentato di far spostare la data. II processo avvenne quindi in sua assenza. Chi mai poteva preoc- cuparsi dei diritti della difesa in un caso tanto banale? E probabile che Liabeuf, futuro forsennato, abbia percepito questo increscioso concorso di circostanze come un primo ri- fiuto di ottenere giustizia. II processo segui il suo normale corso. II balletto dei testi- moni della moralita prima di tutto. II proprietario dell'albergo dove alloggiava Liabeuf lo descrisse come un «cliente perfet- to, sobrio e ordinato». Sedrac, uno dei suoi vecchi padroni, lo presento come «un operaio serio e un bravo ragazzo» e conte- sto che avesse mai potuto essere un protettore, ancorche occa- sionale: «la sua quotidiana faticosa attivita non glielo avrebbe consentito». Un altro dei suoi datori di lavoro, Roger Brant, ne vanto la coscienza professionale e confermo che non conosce- va in lui alcuna «cattiva abitudine». Venne poi il turno dei testimoni dell'accusa. Gli agen- ti Maugras e Vors lessero il loro resoconto del pedinamento. Si, avevano visto a piii riprese la giovane prostituta Didine Cendrillon, alias Marcelle Pigeon, consegnare il profitto della giornata a Liabeuf e offrirgli ora delle sigarette, ora dei bic- chieri di vino, in qualche bettola delle Halles. All'epoca non era necessario provare la minima convivenza tra il protettore e la sua protetta. Era sufficiente, infatti, che un poliziotto giurasse di aver assistito de visu ad uno scam- bio di denaro sulla pubblica via o ad uno smercio privato tra una ragazza di malaffare e il primo venuto, perche l'accusa di «vagabondaggio speciale» fosse giustificata. In realta, era 47 veramente un caso eccezionale che un pappone, diffidente per natura, ricevesse della grana altrove che non nel domicilio co- mune — ma questa era la legge. II Parlamento, preoccupato di non poter far reggere la co- struzione di prove solo sulla buona fede degli agenti della buo- ncostume, si adoprera a rivedere le leggi relative alia prosti- tuzione durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 1916, nuove disposizioni daranno alia sola polizia giudiziaria il potere di accusare i prosseneti, lasciando agli agenti in borghese solo il diritto di controllo sul libretto d'igiene delle prostitute. In tal caso, sei anni troppo tardi per il nostra protettore-mal- grado-lui. Era la sua parola contra la loro. — Maugras e Vors si sbagliano — reagi violentemente Lia- beuf seduto nella gabbia — Ma il loro errore d'altronde e vo- luto, dato che vogliono sbarazzarsi di me. Dicono che faccio troppo lo spaccone! Le sue veementi pro teste non sortirono alcun effetto. Era anche probabile che le sue ultime insinuazioni nei confron- ti dei poliziotti, che attribuivano loro la sordida intenzione di «sbarazzarsi» di un rivale, avessero portato solo a un ulteriore pregiudizio nei confronti dell'accusato. II tribunale correzio- nale della Senna condanno quindi Liabeuf a tre mesi di carce- re, a cinque anni di divieto di soggiorno e a cento franchi di multa. Per la cronaca, contrariamente agli usi in un caso di pros- senetismo, ne la prostituta ne il suo misterioso protettore uf- ficiale furono invitati a portare la propria testimonianza nel corso del dibattimento. Didine era appena stata incarcerata per mancata ottemperanza alle regole d'igiene e Gaston rimaneva irreperibile. Visibilmente, la polizia non aveva fatto molti sforzi per consentire quei confronti essenziali. A meno che non aves- se messo tutto il suo zelo per impedirli. Guardando a questo processo sbrigativo e lacunoso, si capisce meglio come mai 48 il commissario Picot, riconoscendo sei mesi piu tardi Liabeuf con le fattezze del forsennato «dai bracciali in ferro», sia stato attanagliato da un brutto ricordo. Contrariamente alle apparenze, non fu questa prima incar- cerazione a Fresnes a pesare maggionnente sul destino di Lia- beuf, ma il foglio di via dal dipartimento della Senna. Cacciato da Parigi, restando «persona non gradita» nella propria citta natale, Liabeuf era ormai destinato, come mi- gliaia dei suoi simili, a vagare di borgata in villaggio, senza risorse ne raccomandazioni, in una parola, destinato a subi- re la vera pena infamante della disoccupazione perpetua. Al giorno d'oggi si fa fatica a immaginare cio che rappresenta- va il sistematico bando che gettava sulle strade francesi una popolazione eteroclita di poveri diavoli e furiosi recidivi. In queste condizioni, il vagabondo detto «speciale», scontata la pena, non poteva che diventare un semplice vagabondo. Ma questo vagabondo era a sua volta considerato un delinquente dal momento che non poteva esibire un certificato di lavoro e un po' di denaro. E cosi che il circolo vizioso del foglio di via si chiudeva sulla sua vittima. Se Liabeuf fosse veramente stato l'apache calcolatore che volevano vedere in lui, gli sarebbe stato facile tenersi in di- sparte per qualche tempo. Ma per questo calzolaio senza ma- lizia ne reddito annesso, il solo modo di soffocare il rancore che non l'aveva mai abbandonato durante il suo soggiorno in carcere, di acquietare quel sentimento di ingiustizia che lo as- sillava, forse poteva consistere in ben poca cosa: ritrovare un posto onesto sotto padrone, anche a meta paga. Liabeuf ando per le spicce. Comincio con l'andare a trovare Sedrac, nella sua botteguccia di via Saint-Martin. II calzolaio rifiutd di ridargli un posto, ma, pare, controvoglia. Assumen- do qualcuno soggetto al divieto di soggiorno, ed essendone a conoscenza, si esponeva a ripercussioni giudiziarie. Liabeuf tento in seguito la fortuna presso Brant, il suo ultimo padrone in ordine di tempo, il quale gli aveva fatto pervenire questa 49 lettera durante la sua prigionia a Fresnes: «Signor Jean, so che in questo momento non state bene e ne sono dispiaciuto. Se, quando uscirete di prigione, vi troverete senza lavoro, non di- menticate che la mia casa e aperta e ci sara da fare per voi». Per ragioni che ignoriamo, la promessarestera senza seguito. Intestardendosi nel proporre i suoi servigi nel quartiere di Saint-Merri, assediato dai suoi peggiori nemici, i poliziotti, Liabeuf sapeva cio che lo aspettava. Nell'ottobre del 1909, mentre vagabondava nei dintorni di Sebasto, Liabeuf venne arrestato e condannato ancora una volta per «violazione del bando»; ovvero, per infrazione al foglio di via. Sconto un mese supplementare in gattabuia, sempre a Fresnes. Ormai era deciso, «ignobilmente premeditato», avrebbe sot- tolineato il procuratore generale qualche mese piu tardi. Poiche gli si impediva di continuare a vivere dei frutti del suo mestie- re, aveva deciso che avrebbe lavorato per conto proprio, che avrebbe lavorato solo alia sua vendetta, che avrebbe riscattato il proprio onore di buon operaio, sicuro. . . ma del crimine. Riavuta la liberta a meta novembre, Liabeuf invio una breve missiva al solo amico d'infanzia che gli rimaneva, un certo Charles L., ritornato a vivere a Saint-Etienne dopo il loro co- mune soggiorno nel battaglione d'Africa. Non era la richiesta d'aiuto che ci si sarebbe potuto aspettare da un ex-galeotto sul lastrico, ma un'invocazione aH'omicidio: Ho giurato di vendicarmi, e mi vendicherd. Sono tutto quel che si vuole, tranne un ruffiano. Io li ho avvisati. Hanno agito con me come dei vigliacchi, al solo scopo di impedirmi di sta- re a Parigi, e questo non lo accetto. 50 8. All'indomani dal crimine, il benpensante Journal annun- ciava in prima pagina: «Un orribile massacro in via Aubry- le-Boucher; l'Apache coi bracciali chiodati». Poiche non tutti i quotidiani pubblicavano l'edizione domenicale, bisogno attendere lunedi 10 gennaio 1910 per leggere altri titoli sen- sazionali. Le Matin titolava: «La vendetta dell'Apache»; «I1 forsennato della via Aubry-le-Boucher» ne Le Petit Journal; «L'assassino di Saint-Merri» nel Paris-Journal. Precisiamo che queste quattro testate parigine costituivano allora quasi la meta della tiratura nazionale dei quotidiani. Se la maggior parte degli articoli nell'evocare la zuffa omicida si rivelavano molto simili, ciascuno aveva cercato di differenziarsi dalla concorrenza stigmatizzando questo o quell'altro dettaglio del caso. Le Matin attirava l'attenzione su una misteriosa complice dell'assassino, «la bruna Marcelle, amazzone dal carattere bellicoso». Le Petit parisien si foca- lizzava piuttosto su Toch, 1'informatore che aveva segnalato la presenza di un individuo che minacciava la polizia. Mentre Le Petit Journal si era lanciato in una minuziosa descrizione dell'arsenale difensivo e offensivo del forsennato. Le prime versioni del delitto apparse sulla stampa non pote- vano che essere simili, provenendo tutte da un'unica fonte, per defmizione stessa, quella poliziesca. Infatti, tutti i quotidiani avevano almeno un reporter specializzato nei fatti di cronaca nera, un «cane morto» secondo il gergo dell'epoca. Ogni sera, quest' ultimo faceva il giro dei commissariati per consultare il registro speciale su cui erano annotati i reati della giornata. Completato il giro delle stazioni di polizia, andava a mangia- re un boccone e a scambiare «confidenze» coi colleghi in via del Croissant, nel caffe che fungeva allora da quartier generale notturno per i giornalisti d'ogni sponda, attorno a uno di quei tavoli rumorosi dove, quattro anni piu tardi, il 31 luglio 1914, Jean Jaures sarebbe stato vigliaccamente assassinate Nulla di eclatante dunque se la stampa, da La Libre Paro- 51 le dell'antisemita Drumont all' Humaniti del socialista Jaures, aveva condannato all'unanimita «l'apache» Liabeuf e pianto le innocenti vittime fra la polizia. L'evidente colpevolezza del criminale non giustificava alcuna contro-inchiesta. Meglio ancora, una volta rivelata la coincidenza delle identita legate al caso — Leboeuf, alias le Bouif, alias Liabeuf, colui che aveva applicato alia lettera la celebre frase «Morte agli sbirri» in via Aubry-le-Boucher — , quel bestiale carnaio assunse una dimensione spettacolare che i giornalisti seppero sfruttare fino in fondo, giocando giorno dopo giomo col terrore, ma anche col fascino che il pubblico borghese poteva provare di fronte alia naturale ferocia deH'infima canaglia delle Halles. II caso Liabeuf era la mera dimostrazione, in un modo piu immaginario e sconvolgente, dei rischi che le frange delin- quenti delle "classi pericolose" facevano correre alia societa intera. E la maggioranza silenziosa non poteva che approvare la conclusione dell'editoriale di Ernest Judet neWEclair: Prima di ogni misura politica e sociale, il paese non consentira che la tranquilla indifferenza dei poteri pubblici tolleri il per- petrarsi di simili crimini. Se l'apache e re, detronizziamolo! Lunedi 10 gennaio, verso le 5 del pomeriggio, giunto alia sede della Guerre Sociale in via Montmartre 116, Gustave Herve venne a conoscenza del fatto di cronaca nera della setti- mana precedente. Questo vecchio professore di storia del liceo di Sens, sempre con pizzetto e occhialino, aveva fondato il suo settimanale nel 1906 per riunire le energie dei sindacalisti ri- voluzionari della CGT con la minoranza di estrema sinistra del partito socialista, ribattezzato SFIO dal 1905, dopo che i jau- ressiani avevano aderito alia seconda Internazionale. Herve, specialista in titoli provocatori, aveva gia conosciuto la prigio- ne per i suoi ripetuti oltraggi all'esercito francese e alia polizia parigina. Era arrivato a proporre ai propri lettori un lapidario referendum il cui soggetto era Georges Clemenceau, l'allora ministro degli Interni: «Bisogna ucciderlo?». 52 Questa penna combattiva non si prestava quindi a una con- danna scontata. Passando in rassegna i casi di cronaca che gli avevano rias- sunto su qualche foglio volante, Herve noto subito quello re- lative) alia battaglia di via Aubry-le-Boucher. A parte la scarsa simpatia che nutriva in generale per le forze di polizia, e quindi la sua debole commiserazione per quelle "vittime del dovere", lo intrigava la personality dell'assalitore Liabeuf. Si trattava di un apache senza scampo o di un autentico ope- raio calzolaio? Forte delle sue iniziali supposizioni, mando a cercare il suo segretario di redazione, Miguel Almereyda, e lo prego di fare delle indagini nel quartiere Saint- Merri. Restava inteso che, se Herve non avesse ricevuto dal suo fine segugio un resoconto prima della mattina del giorno dopo, cio avrebbe significato che «l'uomo coi bracciali chiodati» non era che un sempli- ce calzolaio ingiustamente perseguitato dalla buoncostume. E quindi, agli occhi dell'editorialista, un onesto lavoratore la cui vendetta era legittima. In breve, un martire esemplare della causa operaia. Miguel Almereyda passo quindi la notte a interrogare a caso commercianti, protettori e prostitute dei vicoli accanto a Seba- sto. Quel giornalista di ventotto anni col viso pallido, i capelli ricci e i tratti quasi femminili, aveva gia un passato pesante, annotato nei dettagli sulla sua scheda redatta dalla polizia. Figlio bastardo della piccola nobilta di Andorra, rampol- lo maltrattato dalla sua famiglia perbene, l'adolescente ave- va conosciuto molto presto le case di correzione e la miseria raminga di chi va sgobbando qua e la. Condannato nel 1900 a due mesi di prigione per furto e ricettazione, l'adolescen- te, da poco convertitosi alle idee anarchiche, dopo la sua li- berazione aveva rivendicato pubblicamente nelle colonne del Libertaire un tentato attentato dinamitardo. Per firmare quel colpo di testa giovanile, si era scelto uno pseudonimo sotto forma d'anagramma, Almereyda, ovvero «y a (de) la merde» (e'e della merda), nome di penna che avrebbe conservato fino 53 all'incarcerazione per propaganda pacifista durante la Prima Guerra mondiale e al suo assassinio mascherato da suicidio il 13 agosto 1917 nella cella 17 della prigione di Fresnes. Miguel Almereyda era anche padre di un ragazzino che ben presto sarebbe diventato l'efnmero quanto geniale cineasta Jean Vigo. Non v'e alcun dubbio che l'inno alia rivolta che aleggia in Zero de conduite o ne L'Atalante, debba molto al- l'attivita anarchica del padre e, in particolare, alia sua illustra- zione e alia difesa dell'«assassino di sbirri» Liabeuf. Al termine della sua notte in bianco, non albergava piu al- cun dubbio nell'animo del segretario di redazione della Guerre Sociale. Tutte le testimonianze raccolte alia rinfusa nelle oste- rie concordavano. Nel sottomondo della piccola malavita, era un fatto noto che il Ciabattino non era mai stato un protettore e che la condanna che gli avevano inflitto qualche mese prima era il frutto di un'odiosa macchinazione. L'unica preoccupa- zione del nostra giornalista militante era che la parola delle graziose signore e dei piccoli malviventi di Beaubourg non costituiva che una lunga serie di chiacchiere piu o meno affi- dabili e non delle prove tangibili. Ventiquattr'ore piu tardi, Almereyda proseguiva le sue ri- cerche. Mentre il mattino di martedi 12 gennaio stava per finire, ancora a corto di novita dal suo inviato speciale, Herve spe- di alia composizione il suo editoriale che, privo di maggiori informazioni, si accontentava di un approssimativo quanto incendiario riassunto del caso Liabeuf. Amplificando gli ef- fetti della penna, il giornalista era intenzionato ad elevare quel modello di proletario che aveva saputo vendicare il suo ono- re, calpestato dall'«infame orda poliziesca». L'arrivo tardivo di Almereyda raffreddo un poco gli ardori di Herve. Benche l'indagatore confermasse parzialmente l'opinione del suo di- rettore, si soffermava anche sulla scarsa fiducia da accordare alle confidenze che aveva carpito col favore di qualche "giro" offerto al bar. Almereyda chiedeva uno o due giorni in piu per essere sicuro del fatto suo. Impulsivo per natura, Herve strac- 54 cio la sua copia e, affrontando la questione da un altro punto di vista, ancora piu azzardato, scarabocchio sul momento una seconda versione del suo articolo, intitolato, questa volta senza giri di parole: «L'esempio dell'apache!». Partendo da un malinteso sulla natura stessa dell'accusato, questo editoriale stava per dare all'affare Liabeuf un'altra di- mensione. «Sto per scandalizzare ancora i perbenisti e gli imbecilli — avvisava come prima cosa il polemista estremista. «Sapete che questo apache che ha ucciso l'agente Deray non manca di una certa belta, di una certa grandezza? «E un apache, beninteso, cioe uno sfortunato che, a 19 anni, forse ha rubacchiato, in un giorno di disoccupazione; il carcere inizio a corromperlo, il Bat d'Af gli ha dato il colpo di grazia. Uscito di la, rientrato a Parigi, ha vissuto al margine del Codi- ce, trascinandosi la fedina penale come una palla al piede. «Un bel giorno gli sbirri della "buoncostume" l'hanno arrestato, con l'accusa di vagabondaggio speciale e l'hanno fatto condannare a tre mesi di galera e cinque anni di divieto di soggiorno. Ora, 1' apache era tutto quello che volete, tranne un protettore. La "buoncostume" si era sbagliata? E possibile. Hanno mentito, costruito false testimonianze, per vendicarsi della donna con cui hanno trovato il nostra uomo? E probabile: la maggior parte degli sbirri della "buoncostume" intrecciano questa onorevole professione con quella di magnaccia e non si tirano indietro davanti a uno spergiuro pur di sbarazzarsi di un rivale. «L' apache ha scontato la sua condanna. Una volta libera, era assillato da una sola idea: vendetta. Non aveva armi; per poterne acquistare una ha lavorato notte e giorno, col suo la- voro di calzolaio, con accanimento, mettendo da parte soldo su soldo: questo e stato per lui il capodanno. «Quando ha raggranellato 100 franchi, e andato a comprare un buon revolver, si e costruito una strana corazza di cuoio irta di punte di ferro, ha affilato due dei suoi trincetti, e cosi armato 55 da capo a piedi, avvolto nel suo mantello, si e messo alia ricer- ca dei due poliziotti che l'avevano fatto condannare. «Conosciamo il resto della storia e il modo magistrale in cui ha accolto gli agenti in borghese che volevano arrestarlo. (...) Ritengo che in un secolo come il nostra di uomini infiacchiti e stanchi, egli abbia dato una bella lezione di vitalita, di perse- veranza e coraggio alia massa di gente perbene. E a noi stessi, ai rivoluzionari, ha dato un buon esempio. «Ogni giorno ci sono onesti operai vittime delle brutalita poliziesche, di ignobili pestaggi, di ingiuste condanne, di gros- solani errori giudiziari: avete mai sentito che qualcuno di loro si sia vendicato? «Ci sono tra noi militanti che sono stati insultati, umiliati e pestati nelle stazioni di polizia dai cosacchi della Repubblica: avete mai sentito dire che uno solo abbia, con la tenacia di questo apache, passato giomo e notte a meditare vendetta, a cercare chi lo aveva insultato? «Ogni giomo i magistrati, con una superficialita, un'in- coscienza e una ferocia senza pari, con sentenze fatte a cuor leggero e prese sottogamba, portano rovina, dolore e disonore nelle famiglie: avete mai udito che una sola delle loro vittime si sia vendicata? «Ohe! Brava gente! Passate a quest' apache la meta delle vostre virtu e chiedetegli in cambio un quarto della sua energia e del suo coraggio !». Questo pezzo di bravura, apparso sulla prima pagina della Guerre Sociale la sera del 12 gennaio, era destinato a qualche migliaio di lettori e abbonati militanti. Ma la tracotanza del- l'argomentazione gli avrebbe dato una risonanza tanto inatte- sa quanto eccezionale. Nei giorni successivi, le grandi testate parigine si accalorarono. La Patrie e la Liberte, entrambe ten- denzialmente di destra, invocarono azioni giudiziarie contra Gustave Herve. L'editorialista di un altro giornale reazionario, la Voix Fran- caise, si uni alia protesta, non senza humour: 56 Ho parlato un giorno di un apparecchio americano che puo tirare 80 calcioni all'ora, nel posto giusto. Perche non speri- mentarla sul signor Gustave Herve? Dalle elezioni legislative del maggio 1906 la destra parla- mentare era uscita assottigliata, non avendo ottenuto che 174 seggi su quasi 600. II blocco della sinistra, quanto mai etero- geneo, si componeva di una schiacciante maggioranza di radi- cali, socialisti radicali e repubblicani. Era stato eletto capo del governo il vecchio direttore deWAurore e sincere democratico, Georges Clemenceau. Sostenitore di Dreyfus della prima ora, ma nemico accanito delle utopie rivoluzionarie e pacifiste, si distinse particolarmente nella feroce repressione degli scioperi operai e delle manifestazioni contadine. II socialista pentito Aristide Briand, succedutogli nel 1909, fu piii abile nel conservare una giusta misura tra le aspirazioni progressiste dell'elettorato di sinistra e il centrismo conserva- tore del resto dell'opinione pubblica. A lui si devono alcune conquiste sociali di una certa levatura: il riposo settimanale della domenica, l'abbozzo di un congedo-maternita per le la- voratrici e la creazione delle HBM (abitazioni economiche), antenate delle odierne HLM (alloggi popolari). Era questa composita maggioranza, erede del laicismo di Dreyfus, che la stampa di destra cercava di colpire, assimi- landola alia minoranza attiva dei parlamentari socialisti unifi- cati o indipendenti. Di fronte alle campagne sovversive degli anarco-sindacalisti e degli «herveisti» della SFIO, le peggio- ri calunnie sembravano legittime ai giornalisti reazionari per sbandierare il colpevole lassismo della repubblica radicale. La pubblicazione incendiaria della Guerre Sociale costituiva quindi un eccellente pretesto per il partito dell'Ordine. II mi- nistero dell'Interno doveva reagire o, in mancanza di cio, la collusione tra l'umanesimo riformista e l'attivismo anarcoide alia fine sarebbe stata manifesta. La stampa filogovernativa aveva tutto l'interesse a smonta- re lo scandalo. Alcuni si rifugiarono neH'ironia, come il pro- 57 fessor Groffier del Droit du Peuple: Mi e impossibile concepire che il celebre insurrezionalista possa seriamente parteggiare per Liabeuf, un assassino di agenti, un protettore acclarato, un rifiuto di quanta c'e di piu disgustoso nella feccia. Essendo quella della liberta di stampa una delle questioni piii delicate per i vecchi dreyfusardi, la maggior parte dei gior- nali di centrosinistra adottarono un basso profile Piuttosto che sostenere Herve l'agitatore o i suoi censori dell'estremo oppo- sto, la Lanterne e il Radical scelsero di seguire le loro indagini in modo neutrale. Ciononostante, pervennero ben presto alle medesime conclusioni del loro collega Almereyda: Liabeuf non era mai stato un magnaccia. Quindi, pur senza accusare la polizia di falsa testimonianza, questi quotidiani reputati im- parziali contribuirono a dare piii forza al rumore sollevato dal polemista della Guerre Sociale. Da parte sua, L'Humanite, considerando che questo rilancio verbale a proposito di un sordido fatto di cronaca non pote- va che nuocere alia rispettabilita dei socialisti "unificati", non proferi parola. La trappola tesa dal machiavellico agitatore Herve alia sini- stra parlamentare cominciava a dare i suoi frutti. II redattore in capo del Temps fu forse il solo a misurare le vere conseguenze di questa esplosiva alchimia che l'estrema sinistra sperava di realizzare tra la «propaganda col fatto» e il crimine comune: Herve fa da ponte tra gli apache che agiscono e i rivoluzionari dalle mani immacolate che declamano, tra i socialisti unificati dell' Humanite e i lettori della Lanterne e del Radical, tra i nemici della societa e della patria e i suoi sedicenti difensori. Tale complicita, che incatena da un estremo all'altro tutti i pro- fittatori del regime, determina la totale impotenza del governo che si regge su questa maggioranza. Apache e rivoluzionari in effetti non tardarono a far vacilla- re le fondamenta della repubblica. 58 9. Trascorrono tre giorni dalla sua incarcerazione. Alia Sante, sul letto di ferro della cella 21, Liabeuf riaffiora da una lunga notte di sonno. E stata prestata la massima attenzione a non fargli pervenire nessun giomale. Quindi non sa nulla delle po- lemiche che lo riguardano. Scortato da un paio di guardiani, un giovane uomo in ca- mice bianco si siede al suo fianco su uno sgabello di legno. Come ogni mattina, cambia il bendaggio del prigioniero tenuto in stretta quarantena dalle autorita penitenziarie. — Anch'io — sussurra Liabeuf al suo infermiere — sono una vittima del dovere. . . Per lui, non c'e nulla di cosi paradossale in quest' afferma- zione. Gli basta ripensare a quelle interminabili settimane, du- rante le quali ha faticosamente tentato di riconquistare l'onore perduto. A tutti i sacrifici che ha accettato di fare per lavare quel terribile affronto. Perche e cosi che egli concepisce i pre- parativi del suo sanguinoso assalto, come un calvario, niente di meno. I poliziotti che lo avevano marchiato col ferro rovente del- l'infamia dovevano perire col ferro giustiziere dei suoi brac- ciali chiodati. Seguendo alia lettera il precetto dei Vangeli, Liabeuf non aveva forse compiuto il suo dovere? Questo acuto senso di giustizia gli era stato tramandato dal- lo zio, onesto operaio, che l'aveva aiutato a imparare la lezio- ne dai suoi primi passi falsi. E anche da sua madre che, dopo la condanna del figlio per prossenetismo, aveva affrontato il viaggio dalla provincia di Saint-Etienne per andare a trovarlo a Fresnes, ritenendolo innocente. Da quella visita, la vergogna non l'aveva piu abbandonato. Liabeuf viveva nell'assillo del torto che aveva causato alia famiglia. Si sarebbe detto che por- tasse il lutto di se stesso. Ma cio che allora ignorava, e che il suo caro zio tanto gen- tile durante la sua infanzia era morto qualche giorno dopo la sentenza del 14 agosto 1909. Nel suo letto d'agonia, lo zio 59 aveva avuto il tempo di sussurrare alia vedova Liabeuf: — Mia povera Mariette, vi lascio nel dolore, ma siate forte, bisogna salvare Jean- Jacques. . . E Mariette aveva speso i suoi ultimi risparmi per andare a vedere il suo primogenito nell'inferno dei dannati della so- cieta, il carcere. Per nascondere il lutto familiare a Liabeuf, Mariette aveva drappeggiato il suo cappello nero con un nastro colorato. E aveva pianto quando suo figlio, con lo sguardo drit- to e determinato che in lui conosceva, aveva detto e ripetuto ancora d'essere innocente. Dopo la sua seconda incarcerazione a Fresnes, il bandito dalla citta, per nulla piegato, aveva fatto ritorno a Parigi. Ma questa volta rischiava il confmo, una lunga incarcerazione che puniva i recidivi. Liabeuf evito quindi con grande cura di ag- girarsi nei paraggi di Saint-Merri. Di giorno cercava lavoro sulle colline di Menilmontant. Di sera percorreva la periferia di Temple, dove vendeva cartoline per dieci soldi tra una bet- tola e l'altra, per scaldarsi un po'. Guadagnava quanto basta per comprarsi del pane. E quando anche gli ultimi osti avevano chiuso bottega, verso le 2 del mattino, il nostra ombroso am- bulante risaliva verso i bastioni, alle porte di Parigi — vasta no man's land a Pantin o a Bagnolet — per dormire all'addiac- cio. E la, tra vagabondi, straccivendoli, cenciaioli, ambulanti, senzacasa e altri ruffiani senza tetto ne legge, elaborava la sua vendetta. Le antiche fortificazioni parigine costituivano, dalla Co- mune del 1871, una sorta di terreno incolto di 400 metri di larghezza che sovrastava Parigi. Fino alia prima Guerra Mon- diale, quella vasta terra circolare, che apparteneva alle autorita militari, non era edificabile. Quella piccola campagna ai con- fmi della capitale veniva utilizzata come pascolo per qualche mandria di vacche normanne o di capre in transumanza, ma soprattutto come luogo di villeggiatura per famiglie di basso ceto. Ciascuno con le sue piccole abitudini, amanti dei picnic, giocatori di bocce o pescatori con la lenza. Come sui bordi 60 della Mame, non si contavano piu le baracche di fortuna delle balere e di altre bettole. La, ogni domenica o lunedi di festa, migliaia di operai accorrevano da ogni parte per bere un «ri- quiqui [acquavite] alia rosa», per mangiare qualche cozza frit- ta e ballare l'ultimo valzer di moda. Ma i bastioni avevano anche la loro popolazione stanzia- le, gli occupanti regolari, se cosi possiamo chiamare quello straordinario miscuglio di poveracci, borsaioli, senzatetto, fuggitivi e pregiudicati, in breve, tutti quelli che la stampa del- l'epoca raggruppava sotto il termine generico di «Apache». Alcune famiglie, sfrattate per morosita, arrivarono persino a pagare alio Stato una trentina di franchi all'anno per piazzarvi una baracca. Altre dormivano nella scarpata, sotto le stelle. E tra loro, numerosi banditi dalla citta, come Liabeuf, chiamati «triquard». Ogni sera, andando a cercare rifugio in quell'insolita ter- ra d'asilo, Liabeuf ritrovava gli stessi compagni di sfortuna: ladri di polli, raccatta-cicche, vagabondi filosofi, straccioni della «Petite Cayenne* — l'antenata del mercato delle Pulci di Saint-Ouen — , pastori nomadi, dottori autodidatti, zingari in roulotte. Ma in mezzo a questa inestricabile macchia, Lia- beuf imparava anche a vivere accanto a teste calde, rapinatori, accoltellatori e malfattori in fuga. La miseria non va tanto per il sottile. Lonesto lavoratore del cuoio era diventato una bestia brac- cata. Gli era bastato passare dall'altra parte: accettare di vive- re ai «margini» per sperare di uscirne sdoganato. Sopportare l'incerta esistenza dei peggiori magnaccia per provare di non essere uno di loro. Indurirsi per sperare di ritrovare un giorno la dolcezza di vivere in pace con la propria coscienza. In pratica, Liabeuf cadeva a poco a poco nella sua stessa trappola, la cattiva abitudine all'illegalita permanente che ben presto avrebbe fatto di lui un accattone disperato o un adepto della piccola delinquenza. Poi, all'inizio di dicembre del 1909, ebbe la fortuna di tro- vare un posto nella calzoleria dell'alta Belleville, in via de 61 l'Oreillon. Per confondere le tracce, si era fatto assumere sot- to il falso nome di Jean Ravinet. Conoscendo gia il mestiere, poteva guadagnare circa dieci franchi al giorno, somma che metteva regolarmente da parte. Per spendere il meno possibile, si nutriva di «arlecchini», cioe dei resti di pranzi e cene che i ristoratori dei grandi viali vendevano per una miseria. Stanco dopo una faticosa giornata di lavoro, approfittava a volte del- l'ospitalita di qualche vecchia conoscenza. Oppure ritornava a dormire all'addiaccio, malgrado il freddo invernale. Affittare una camera, anche in un tugurio, significava rischiare d'essere venduto agli sbirri da qualche miserabile senza scrupoli. E non era il caso di farsi pizzicare prima di aver portato a termine il suo piano punto per punto. La vendetta e un piatto che va servito freddo. E per raffred- dare defmitivamente gli agenti Maugras e Vors, aveva previsto tutto da molto tempo. Gli sarebbe bastato munirsi di una buona lama e di un revolver. Era quindi per acquistare quei preziosi strumenti che rispar- miava in segreto, che rinunciava a ogni piacere, che si proibiva ogni capriccio. Rabbioso ma previdente, aveva anche pensato di procurarsi delle armi di difesa nel caso in cui altri poliziotti fossero accorsi in aiuto: i suoi famosi bracciali irti di chiodi acuminati. Come aveva potuto venirgli in mente una simile idea? Durante la fine dell'estate 1909, ovviamente a Fresnes, nel leggere nella rivista Je sais tout un racconto poliziesco tradotto dall'inglese. In uno degli episodi venivano raccontate per filo e per segno le imprese della «banda degli Strangolatori» che, all'inizio del secolo, semino il terrore nel quartiere dei dock londinesi. Ogni mattina venivano ritrovati i cadaveri di pas- santi, che portavano attorno al collo tracce di strangolamento con un «laccio». I segugi di Scotland Yard non riuscivano a mettere le mani sui malfattori. E gli abitanti di Londra non osa- vano piu uscire dopo il calar della notte. Fu allora che alcuni festaioli di buona famiglia ebbero l'idea di cingersi il collo con 62 larghi collari di cuoio armati di punte d'acciaio, simili a quelli che portano i cani. I crimini cessarono, ma in seguito la polizia ebbe qualche difficolta a far cessare questa moda che, terribile ironia della sorte, avrebbe dato l'occasione ai peggiori crimi- nali di indossare impunemente ogni sorta di striscia chiodata. Impressionato dalla leggenda degli strangolatori d'oltre Manica, Liabeuf decise di equipaggiarsi con bracciali simili a quei collari per cani domestici e per nottambuli della buona societa. Rilasciato nell'autunno del 1909, si procure del cuoio e incomincid a tagliare i bracciali piu piccoli, destinati agli avambracci, da un apprendista presso alcuni amici. Nella fode- ra introdusse decine di chiodi che fece spuntare dall'altra parte della guaina. Le lore punte quadrangolari la trapassavano di qualche centimetre. Sarebbe bastato per scalfire la carne anche dei piu coriacei della prefettura. Approfittando dell'assenza del suo padrone, Humblot, in giro sovente per consegne, Liabeuf confeziond in seguito i bracciali piii grandi, a cui aggiunse dei laccetti da stivale per fissarli bene. Ai colleghi che gli chiedevano del suo curioso lavoro, rispondeva che era un ingegnoso sistema che aveva messo a punto per pettinare il crine dei materassi. Sabato 1 gennaio la sua opera era compiuta. Non gli restava che far affilare il trincetto da un arrotino. Pago senza badare a spese, e lo stesso pomeriggio era fatto. I primi preparativi gli erano costati la meta del suo gruzzolo. II mattino dopo, si reed al mercato di Bicetre in cerca di un'arma da fuoco. L'acquisto per 100 franchi, il doppio del suo valore. Ma a che pro mer- canteggiare, trattandosi comunque di una questione d'onore. Tanto piii che a quel revolver in acciaio temprato avevano ag- giunto cinque pallottole calibre 8mm. La settimana successiva, furono molti i clienti abituali delle Caves Modernes o deH'Ami Paul che scorsero Liabeuf aggi- rarsi nei dintorni di Sebasto con un'ampia cappa nera sulle spalle. Non tardo a rivelare i suoi terribili progetti alia Grande Marcelle e a qualche fedele compagno di bevute. I piii tenta- rono di farlo rinsavire, ma il calzolaio dal grande cuore che 63 avevano conosciuto si era tramutato in un mostro gelido, in un soldato del crimine ebbro di vendetta. La sua tendenza alia caparbieta aveva assunto proporzioni inquietanti, rendendolo un convitato taciturno e testardo. Voleva la pelle di Flute e di Beau Gosse, la e subito. Come un fanatico schiavo della pro- pria idea fissa. Non avrebbe desistito, finche un'intera squadra di poliziotti non gli avesse fatto mangiare la polvere. Passo una settimana di minacce senza seguito. Cosa attendeva per passare ai fatti? E certo che da quando si sentivano ricercati dal loro mortale nemico, i due agenti in borghese Maugras e Vors si faceva- no vedere piu raramente nei paraggi. Come per incanto, erano quasi spariti dalla circolazione. Sarebbe forse mancata l'occasione per combattere? No. Liabeuf stava solo aspettando che l'amata Cendrillon uscisse dall'ospedale, dove il suo protettore e rivale Gaston l'aveva spedita dopo una brutale lezione a suon di coltellate. Sabato 8 gennaio, il Ciabattino ando a trovare la convale- scente Didine in un luogo segreto. Passarono tutto il pomerig- gio a passeggiare lungo i bastioni a braccetto e a spendere gli ultimi spiccioli che l'innamorato non aveva investito nel suo funesto progetto. La notte successiva fu la prima che passo in un comodo let- to, dopo molto tempo. Una notte d'amore, d'amore solamente, poiche nessuno dei due aveva avuto ne il tempo ne la voglia di parlare d'altro. La notte di un incontro carnale senza intoppi, senza rim- proveri, senza pensieri. E, per il potenziale assassino, l'ultima notte da uomo libera. 64 10. All'indomani della sanguinosa rissa, i dintorni di via Au- bry-le-Boucher furono letteralmente invasi da nugoli di ficca- naso. Tra questi capannelli di curiosi della domenica, che la polizia in divisa riusciva a stento a far circolare, affioravano due mondi distinti: da una parte, una moltitudine di ricconi col monocolo, di studenti dilettanti e di sgualdrinelle mantenute, venuti a confondersi con la marmaglia; dall'altra, la plebe abi- tuale che popolava qualche isolato scampato alle grandi deva- stazioni haussmanniane del secolo precedente. II compito dei poliziotti in borghese, che si presume doves- sero sorvegliare il viavai dei magnaccia e delle loro protette, veniva ostacolato dal flusso di curiosi in ghingheri e di mon- dane dei quartieri alti. Primi turisti di quello che oggi viene chiamato Marais, i residenti della Parigi occidentale restavano incantati davanti al "pittoresco" bastione popolare. Avidi di sensazioni forti, quei borghesi inebriati speravano segretamen- te di assistere in prima fila ad una nuova selvaggia zuffa. Non furono affatto delusi dal viaggio. Verso le 6 di sera, si era gia formato un gruppo piuttosto agitato all'angolo tra via Saint-Martin e via Aubry-le-Boucher. Al centra del cerchio, un individuo vestito miseramente aveva cominciato ad arringare la folia. — Se almeno tutti i ragazzi di qui fossero come il Ciabatti- no. II posto verrebbe ripulito in fretta da tutti questi sbirri che vogliono metterci sotto. Io era li quando ha tirato. In quel mo- menta, avrei dato il mio sangue per lui — urlava forte l'ener- gumeno. Due agenti si precipitarono sul fanatico e lo condussero energicamente al posto di polizia di Saint-Merri. II vagabon- do, accusato all'istante di «istigazione all'omicidio», dichiaro di chiamarsi Eugene Gourbillon. Come sottolineo ironicamente un reporter del Journal, ave- vano appena arrestato il primo «liabovista». II primo di una lunga lista. 65 Una nuova settimana cominciava. I bottegai del quartiere presero l'iniziativa di affiggere sull'uscio il necrologio muni- cipale che annunciava la morte dell'agente Deray e una lettera cosi redatta: I commercianti del IV arrondissement e i loro dipendenti vi pregano di assistere domani alle esequie del signor Deray, guardia municipale, morto vittima del dovere il 9 gennaio 1910, all' eta di 48 anni. Questo avviso esposto sulle vetrine due giorni dopo la san- guinosa battaglia, servi anche da pretesto alia polemica tra i rari apologeti di Liabeuf e l'immensa maggioranza silenziosa dei passanti. La stampa del giomo seguente amplified i nume- rosi incidenti provocati dalle pubbliche condoglianze. Quella sera di lunedi 1 1 gennaio fu in effetti ricca di svilup- pi. Un ragazzetto di sedici anni, che era scoppiato a ridere alia lettura dell'avviso, apri il fuoco delle ostilita. — Uno sbirro in piu che e crepato! Non male, ne faremo fuori altri! — disse spavaldamente. La folia si apprestava a linciarlo, un agente si mise in mezzo e ricevette dal giovane «liabovista» una violenta testata alio stomaco. Domato infine da un drappello di poliziotti, l'appren- dista forsennato dichiaro al commissario Picot: — Sard pur libera di avere le mie opinioni. . . Nel corso della stessa sera fu arrestato un certo Edouard Hachepain che, dopo aver sputato su uno dei necrologi, aveva gridato: — Ben fatto per l'agente Deray, non si piangono simili cri- minali! Si ritrovo d'altronde al posto di polizia di Saint-Merri con un altro scalmanato della stessa risma il quale, anche lui, aveva parlato fuori dai denti: — Liabeuf ha fatto bene! Fategli avere le mie felicitazioni per aver seccato uno della banda nera! Morte agli sbirri! Se ne trovo uno, anch'io gli daro il fatto suo! Sarebbe noioso citare nel dettaglio tutti gli incidenti che si 66 verificarono quel lunedi. Portarono a condanne da uno a quat- tro anni di prigione. II commissario Picot — e i giudici con lui — temeva in effetti che la moda contagiosa dei «vendicatori di Liabeuf» si propagasse fino ai malviventi piu agguerriti e determinati. Gia verso la mezzanotte, l'allerta era alta. La brigata del IV arrondissement aveva arrestato, all'uscita dell'osteria l'Ami Paul, due sospetti che portavano strani pacchi sotto lunghi pa- strani col cappuccio, che ricordavano il «mantello nero» del calzolaio. Dopo un accanito corpo a corpo, le forze dell'ordine erano riuscite ad avere la meglio, e senza troppi danni, su Lu- cien Muochet di 21 anni e Simon Zalesky di 23 anni. Nel corso della perquisizione, mentre i forsennati inneggiavano aperta- mente a Liabeuf, erano stati trovati loro addosso due trincetti e due revolver di grosso calibro. II graduate Picot non era un minchione. Se pure un certo numero di ladruncoli, scassinatori e malviventi del quartiere avevano preso l'abitudine d'invocare Liabeuf per giustificare i loro atti delittuosi, «l'esempio dell'apache» non poteva giusti- ficare tutto. Ma era anche incontestabile che la prodezza di via Aubry-le-Boucher aveva dato alia marmaglia di Sebasto una pericolosa sensazione di impunita. Tanto piu che a quella rabbia contagiosa contro la polizia si sarebbero aggiunte presto le missive anonime ricevute dal- l'agente Fevrier, minacciato di sanguinose rappresaglie per aver atterrato Liabeuf con un colpo di sciabola, cosi come i libelli vendicatori che stavano invadendo giorno dopo giorno l'ufficio del giudice istruttore Drapier. Di fronte a quanti, semplici delinquenti o ribelli militanti, si davano da fare a presentare Liabeuf come una «vittima della buoncostume», le Autorita si sentirono in dovere di richiama- re alia memoria di tutti l'unico che aveva trovato la morte in quell 'incredibile massacre: Celestin Deray. Fissate per martedi 12 gennaio, le esequie ebbero un carat- tere particolarmente solenne. L'imponente corteo funebre parti 67 dalla caserma contigua alia Cite, verso mezzogiomo. II presi- dente della repubblica, assente da Parigi, si era fatto rappresen- tare da un sostituto. Ma l'insieme dei consiglieri municipali, diversi generali, i cinque ministri in esercizio e il presidente del Consiglio Aristide Briant, marciavano in testa, seguiti da un considerevole stuolo di poliziotti d'ogni ordine e grado e di anonimi parigini. Al termine della cerimonia, al cimitero di Montparnasse, il prefetto Lepine pronuncio un breve discorso davanti alia tomba dell'agente deceduto. Con termini velati diede voce al rancore delle truppe in lutto e alia sua impazienza davanti al lassismo del governo: Fino a quando il sangue generoso scorrera ancora sotto le lame degli assassini? E quando la societa minacciata decidera di di- fendersi? Parigi e diventata rifugio di troppi banditi, e per loro le leggi sono troppo blande. Pazienza, signori! Riponiamo fiducia nell'opinione pubblica piu illuminata e restiamo nei nostri ranghi. . . A poco a poco, il caso Liabeuf era diventato un affare di Stato. 68 11. Da una settimana ormai la «vittima del dovere» Deray era stata tumulata in pompa magna, e l'emozione non si era ancora sopita. La sera di lunedi 18 gennaio, l'agente Fevrier era stato vit- tima di un agguato. Due individui armati di pugnale l'avevano bloccato in un portone della via Quincampoix gridando: «E lui, vendichiamo Liabeuf !» L'intervento immediato di altri agenti in borghese aveva fat- to evitare il peggio. Questa volta i due liabovisti messi ai ferri non erano provocatori di piccola levatura, ma pregiudicati at- tivamente ricercati. II primo, noto ruffiano di una certa Juliette Petit, era un multirecidivo di una certa eta soprannominato «il Terrore di Sebasto». II suo giovane accolito, il temuto «Choco- lat», aveva appena 19 anni, ma una fedina penale gia pesante. Per il commissario Picot, era una buona cattura. Ma era anche il segno che le sue piu fosche profezie si stavano rea- lizzando. II culto di Liabeuf guadagnava terreno nelle "classi pericolose". Da parte sua, la Guerre Sociale non disarmava. Nell'edizio- ne di martedi 19 gennaio, Herve annunciava, spavaldo: E ormai piu di un anno che sono in liberta. Troppo bello per essere vero, non poteva durare. II nostro governo di distensio- ne repubblicana e rassicurazione elettorale sta per mettere un po' d'ordine. E questo governo, intimidito dai piagnistei della stampa di destra, per farla tacere spedisce alia procura l'ordine di perseguirmi. Apologia di fatti qualificati come crimini! In- citazione all'omicidio! Brrr! Costo: 5 anni di prigione; tutto e stato orchestrato come in un pentagramma. Non c'e un giudice parigino che mi concederebbe le benche minime circostanze attenuanti, dopo la nobile campagna di stampa contro gli apa- che cui stiamo assistendo. In attesa del processo, a cui Herve voleva dare un'eccezio- 69 nale risonanza, il suo segretario di redazione non si arrende- va. Miguel Almereyda aveva appena avviato un'inchiesta di ampio respiro sugli «sbirri della prefettura che vivono della prostituzione», in altre parole, secondo un rovesciamento di prospettive non insolito per una penna rivoluzionaria, sugli «apache della Buoncostume». Trasferito al carcere di Fresnes sul finire della precedente settimana, Liabeuf non manifestava piu alcun segno di ostilita nei confronti delle guardie. L'assassino di Deray, che l'ammi- nistrazione penitenziaria aveva posto in sorveglianza speciale, si era apparentemente placato. Alia sovraeccitazione dei primi giorni era seguito un totale abbattimento e perfino una sorta di prostrazione. Guadagnando la simpatia di uno dei suoi guar- diani, si era fatto prestare un romanzo tradotto dal russo: Le mie avventure in Siberia. Aveva forse abbandonato ogni velleita di resistenza? Finche, alia fine di gennaio, mentre una guardia lo sta ac- compagnando alia sala delle medicazioni, il criminale conva- lescente stacca bruscamente un attaccapanni di legno fissato al muro e tenta d'accoppare il suo sorvegliante. Subito allertati, due carcerieri intervengono per domare, con qualche difficol- ta, il rivoltoso e per infilargli la camicia di forza. — Visto che le cose stanno cosi — ruggisce — mi occupero di sistemare tutti quelli che potro, a cominciare dal giudice istruttore. II giorno dopo, nel timore che dia seguito alle sue minacce, viene raddoppiata la sorveglianza durante il suo trasferimento al palazzo di giustizia. II giudice Drapier, messo in guardia contro i vendicativi sbalzi d'umore dell'accusato, fa subito al- lusione all'incidente del giorno prima. — Non ho nulla contro di voi — risponde Liabeuf al magi- strate con voce tranquilla. L'uomo ha ritrovato tutta la sua calma. Nel corso dell'in- terrogatorio, Liabeuf si limita a confermare passivamente, con 70 qualche cenno del capo, le sue precedenti dichiarazioni. Ma quanto ci si pud fidare dell'acqua cheta? Soprattutto di quella che imputridisce in prigione? II giudice istruttore riuscira tuttavia a far uscire il sorveglia- to dal suo torpore per ben due volte. Dapprima evocando le lettere anonime e le prodezze dei suoi amici «liabovisti». — Non ho bisogno di nessuno per difendermi — taglia cor- to — Mi sono assunto tutte le responsabilita. II magistrato lo interroga poi su quelli che erano seduti con lui qualche minuto prima della rissa sanguinosa. — Non eravate solo. Chi vi ha aiutato ad allacciare i vostri bracciali chiodati? — Questo non ve lo diro mai! — risponde Liabeuf. — E se per l'appunto «questo» si riferisse all'altro sesso? Diversi clienti abituali delle Caves Modernes accusano for- malmente la Grande Marcelle. . . Che avete da dire? — Non ci siamo proprio. Perdete il vostro tempo. Non sono un delatore. L'interrogatorio finisce con queste parole. II giudice Drapier ricevera poco dopo la visita dell'avvoca- to del prigioniero. Attirando l'attenzione del magistrato sugli accessi di nervosismo del suo cliente, Leduc gli suggerisce la nomina di un medico alienista. La ciclotimia estrema di Lia- beuf e forse piu materia di psichiatria che di codice penale. Nel dubbio, sarebbe meglio assicurarsi che il detenuto venga dichiarato sano di mente prima che una corte d' assise decida di fargli perdere la testa una volta per tutte. Luomo coi bracciali di ferro ha un bell'assumersi fieramente le responsabilita dei suoi atti, nondimeno manifesta i sintomi evidenti del «forsen- nato cronico». La difesa giochera cosi una delle sue carte principali. Ma, probabilmente, ha scoperto il suo gioco troppo presto. II giudice Drapier non ritiene di dover dare un seguito favo- revole a questa richiesta. Ai suoi occhi, ne le idee fisse che nutrono le dettagliate con- 71 fessioni del detenuto, ne i suoi recenti sussulti di violenza fan- no di lui uno "squilibrato". Al contrario. Le sue parole e i suoi atti s'accordano punto per punto. E lo spirito di vendetta che anima Liabeuf, sebbene particolarmente sanguinario, spiega non tanto un caso di patologia mentale quanto gli usi e costu- mi di un ambiente: quello della piccola marmaglia votata al perpetuo regolamento di conti. Liabeuf circondato dai gendarmi 72 12. La Grande Marcelle, presunta complice dell'assassino, non si era piu fatta vedere dalla tragic a sera del 9 gennaio. II man- date) d'arresto spice ato dal giudice Drapier era rimasto privo di effetto. La polizia aveva davvero perso le sue tracce? O prefe- riva evitare un testimone considerato ingombrante? Difficile da stabilire. Piu fortunati dei segugi della prefettura, i reporter del Ma- tin e del Petit Parisien impiegarono meno di una settimana a trovare le tracce di colei che avevano battezzato, con una certa esagerazione, «la regina degli apache di Beaubourg». I loro ar- ticoli scandalistici fecero nascere una vera e propria leggenda, che la principale interessata non aveva mancato di alimentare con dettagli su peripezie non verificabili. Ciononostante, la sua vita romanzata fornisce una descri- zione esemplare delle veneri da marciapiede attorno al 1900. La Grande Marcelle, per lo stato civile Marie-Louise Dela- rue (sic!), aveva lasciato la sua Mayenne natale all'eta di sedici anni. Come tante altre ragazze di paese, era arrivata a Parigi per fare la domestica in una casa borghese. Servetta dal cuore fragile, Marie-Luoise si era subito invaghita di un certo Gege- ne. Ma ben presto l'idillio non aveva tardato a trasformarsi in incubo. II suo "uomo" l'avrebbe convertita al piu antico me- stiere del mondo a colpi di punteruolo e bruciature di sigarette. E, dato che un'altra Marcelle gia batteva a Beaubourg, Gegene l'incorono «Grande Marcelle». Ma il loro rapporto, pare assai lucroso, non resse a lungo alia dura legge del mestiere. II ma- gnaccia, pugnalato nel corso di un duello, mori tra le braccia della sua protetta. Decisa a non rimpiazzare subito il suo protettore, la Grande Marcelle non tardo a farsi una reputazione tutta sua sui marcia- piedi di Saint-Merri. Libera da ogni legame, la prostituta indi- pendente si offri anche di dare manforte alle consorelle contro certi ruffiani troppo brutali. Le dicerie informavano perfmo che, per vendicare una debuttante picchiata furiosamente, sul- 73 la soglia dell'osteria l'Ange Gabriel avesse sgozzato il temuto apache Beau Marseillais. Dotata di un fisico robusto e abile col coltello, la bruna Marcelle aveva appena 23 anni quando prese sotto la sua ala protettrice una timorosa allieva, Didine Cendrillon, all'inizio dell'estate 1909. Conosciamo il seguito della storia. Fu lei a presentarie il giovane e onesto calzolaio, per spin- gerla a lasciare il suo protettore senza scrupoli. Tutto era filato come previsto. La rottura tra Didine e Gaston sembrava fatta. Liabeuf stava per rimettere sulla retta via la sua promessa. Ma l'intervento della polizia aveva rovinato di colpo i piani del- la Grande Marcelle. La «paraninfa» aveva fallito. E, con sua grande disperazione, solo Liabeuf stava pagando ora i cocci di quello scenario da romanzetto rosa. Questo, in sostanza, aveva raccontato la «regina degli apa- che* ai giornalisti che l'avevano scovata in una piccola stanza di passaggio dell'hotel Paris, all' 11 di via Simon-le-Franc. Per convincerli della veridicita delle sue parole, la Grande Marcel- le aveva semplicemente fatto parlare il suo corpo. II pollice della mano sinistra mostrava cinque punti di in- chiostro blu, segno di riconoscimento della prima banda che l'aveva adottata al momento del suo arrivo a Parigi. Sull'avambraccio sfoggiava l'approssimativo ritratto del suo eterno «caro», l'estinto Gegene. Sulla sua spalla fioriva un rametto di fucsia. All'interno della coscia destra, un ispessimento della pelle faceva intuire la presenza di una pallottola, penetrata una sera del primo maggio e mai estratta. Sul resto del corpo, ogni cicatrice rivelava, sotto altri sfregi di un rosa piu pallido, un episodio della sua intrepida vita. Un recente tatuaggio ornava il suo polso destro come una sorta di braccialetto graziosamente disegnato che aveva, a gui- sa di fermaglio, due baionette incrociate, simili a quella che aveva avuto ragione dell'ostinata resistenza del suo amico Ciabattino. 74 La sera del 20 gennaio, la Grande Marcelle venne interroga- ta in via Beaubourg. II duo di poliziotti in borghese che la con- dusse al posto di polizia di Saint-Merri era composto da Vors, alias Flute, e Maugras, alias Beau Gosse, per l'appunto i due nemici giurati di Liabeuf. Al commissariato, il confronto con i due agenti della buoncostume non fu esattamente tranquillo. Volarono parecchi insulti. L'indomani mattina, di fronte al giudice Drapier, la graziosa fanciulla Marie-Louise Delarue uso tutti i mezzi che aveva a disposizione. Protesto, pianse, fece mille moine. E, per meglio alleggerire il carico che pesava sulle sue larghe spalle di ra- gazzo mancato, fini per accusare un locandiere della via Qiun- campoix di aver fissato i bracciali sulle braccia dell'assassino. Ed essendo l'oste in questione un noto informatore, in qualche modo gli veniva restituito il giusto. Un delatore denunciato. II pomeriggio stesso venne condotta una breve indagine. II magistrato dovette arrendersi all'evidenza. I rari testimoni che avevano visto la Grande Marcelle annodare i lacci attorno ai bicipiti del forsennato, avevano ritrattato tutti. Ma nessuno si arrischiava comunque a confermare le sue accuse nei confronti dell'oste. Davanti a quel muro di silenzio, doveva gettare la spugna. L'accusa di «complicita in omicidio» cadde automa- tic amente. Rivoltando la frittata, Maugras e Vors resero ben presto la pariglia. Poco prima del suo arresto, avevano visto la Grande Marcelle brandire un coltello esclamando: «Bucher6 uno sbir- ro per vendicare il Ciabattino». O, perlomeno, fu questo che dichiararono al magistrato. Furono avviate nuove indagini per «minacce di morte» e «porto d'arma abusivo». In attesa della comparizione della Grande Marcelle in tri- bunale, il magistrato firmo la sua scarcerazione sabato 22 gen- naio. Ma la «regina degli apache» non era che all'inizio delle sue tribolazioni. Una settimana piu tardi fu fatta oggetto di un misterioso 75 agguato. Al calar della notte, davanti all'osteria l'Ami Paul, nell'ormai celebre via Aubry-le-Boucher, tre uomini armati di coltello si scagliarono sulla Grande Marcelle. La robusta com- battente usci quasi indenne dalla mischia impari. E chiaro che si erano accontentati di farle piu paura che male. Chi aveva interesse a dare una simile lezione all'amica di Liabeuf? In primo luogo Gaston, il protettore di Didine, il quale, fu- rioso d'esser stato cornificato per colpa sua, cercava ora di eli- minare colei che sapeva troppo. . . In secondo luogo il padrone del locale che, accusato di complicita con Liabeuf, intendeva far pagare alia delatrice il prezzo della sua falsa testimonian- za... E infine, esaminando tutte le ipotesi senza eccezioni, gli agenti della buoncostume Vors e Maugras, che potevano aver ceduto alia tentazione di farsi giustizia da soli. . . II giudice Drapier avrebbe voluto conoscere il messaggio celato in quell'ultimo regolamento di conti. Convoco quindi la Grande Marcelle nel suo ufficio, questa volta in qualita di vit- tima. Ma l'interrogatorio fu inutile. D'altra parte, l'inchiesta della polizia non porto a nulla. II solo risultato probatorio di quella strana manovra di inti- midazione fu che la «regina degli apache» lascio dall'oggi al domani i dintorni di Sebasto. Se qualcuno, chiunque fosse, aveva voluto scoraggiarla dal testimoniare davanti al tribunale, il suo desiderio era stato esaudito al di la di ogni speranza. La Grande Marcelle, questa protagonista essenziale del dramma di via Aubry-le-Boucher, spiced in effetti al processo di Liabeuf, ma per la sua assenza. Pare che, dopo una tentata intervista, piu intima che di la- voro, un noto giornalista si fosse profondamente invaghito di Marie-Louise Delarue. In seguito aveva cominciato a farle guadagnare la vita con mezzi piu onesti. La leggenda vuole inoltre che, esercitando il mestiere di sarta a Montmartre negli anni Venti, la prostituta ormai libera da costrizioni ricevesse solo con le mani coperte da guanti, per nascondere i tatuaggi alio sguardo della sua nuova clientela. 76 Dato che le disavventure della Grande Marcelle non appor- tavano nessun nuovo elemento al suo dossier, il giudice Dra- pier chiuse l'istruttoria del caso Liabeuf. Lucien Leduc non doveva che annunciare al suo cliente le motivazioni definitive per cui prossimamente sarebbe compar- so in corte d'assise: «Omicidio volontario della guardia Deray e tentato omi- cidio volontario degli agenti Fournes, Boulot e Vandon, con l'aggravante della premeditazione; violenze premeditate sugli agenti Fevrier, Hedembaigt e sul brigadiere Castanies». Alia terribile esposizione dei suoi capi d'imputazione, il prigioniero rispose senza giri di parole: — Posso anche andare sulla forca, a condizione che la giu- stizia riconosca che ha sbagliato condannandomi per vagabon- daggio speciale. La sua linea di difesa era incentrata su questa idea fissa. Era pronto a perdere la propria testa pur di lavare col proprio sangue l'affronto della precedente condanna. Ma come difendere un uomo sempre in ritardo di un pro- cesso? Decisamente, Leduc era battuto in partenza. Se inizialmente Liabeuf aveva suscitato nell'opinione pub- blica parigina un sentimento di orrore misto ad ammirazione, le prodezze dei suoi discepoli «liabovisti», riprese dalla propa- ganda rivoluzionaria, non tardarono a spazientire la maggio- ranza silenziosamente borghese della capitale. Alia meta di gennaio, il deputato del IV arrondissement Faillot deposito alia Camera una interrogazione il cui oggetto era la fiammata di violenza che stava colpendo le sue terre di elezione. II Journal pubblico in prima pagina le lamentele del parlamentare: Ormai a Parigi non ci sono che due quartieri dove ci si diverte: il quartiere Latino e il quartiere di Saint-Merri. II primo ci da solo finti brividi da parata. E nel quartiere di Saint-Merri che i veri artisti danno la loro sensazionale rappresentazione. 77 Rovistate nella nostra cronaca e vedrete come ritornano co- stantemente i nomi di via Aubry-le-Boucher, Simon-le-Franc, Beaubourg, Saint-Merri, Venise, Brise-Miche, ecc. Bisogna agire, le persone oneste ne hanno abbastanza della loro insi- curezza. II consiglio del deputato venne prontamente seguito. II 24 gennaio, l'ufficiale di polizia Chevreuil venne incaricato di sovrintendere alia epurazione dei sobborghi di Beaubourg. Fu- rono organizzati rastrellamenti nei tuguri di Sebasto, dove i disertori e i banditi con foglio di via avevano preso l'abitudine di trovar rifugio. Furono moltiplicati i controlli d'igiene alle adescatrici e gli arresti dissuasivi nei confronti dei protettori gia schedati. II tentativo di risanamento, che ha qualche analogia con le operazioni «pugno di ferro» della modema polizia, sarebbe riuscito ad avere ragione del secolare radicamento criminale di quella corte dei Miracoli? E difficile per noi dirlo, poiche la citta intera subi, a partire dal 20 gennaio, un'epurazione di piu vasta portata: la tremenda piena della Senna. Dopo aver devastato la periferia ad est di Parigi, il flume inondo rapidamente gli argini, poi il sottosuolo della stazione d'Orsay, infine invase il pianterreno della abitazioni circostan- ti. Per una settimana le vie del quartiere Latino inferiore assun- sero l'aspetto di veri e propri canali veneziani, costringendo i deputati della Repubblica ad allestire pontili di fortuna e bar- che a motore per andare a sedere «all'asciutto» alia Camera. Se la riva sinistra fu quella piu martoriata, l'altra non venne risparmiata a lungo. Ad ovest della riva destra, un vasto lago mobile bagnava i bei quartieri di Passy, mentre al centra la ma- rea fangosa risaliva fino alia porta Saint-Martin devastando, ad est, i magazzini dei commercianti di vino di Bercy. Dalle stime ufficiali dell'epoca, tracciate sullabase del pon- te della Tournelle, la notte del 28 gennaio l'acqua alta raggiun- se un'altezza di otto metri e mezzo. 78 Parigi non aveva mai conosciuto un'inondazione simile dal 1658. Si dovette attendere il 5 febbraio perche la Senna si ritiras- se, lasciando dietro di se uno spettacolo magari pittoresco, ma soprattutto apocalittico. Ovunque la pavimentazione in legno galleggiava, e le strade erano impraticabili. II fondo delle vie liberate dalle acque non era ormai che un ammasso di macerie, merci avariate ed effetti personali perduti per sempre. Un gran numero di fabbriche erano state costrette a fer- marsi, privando del proprio sostentamento migliaia di operai gia cacciati dalle proprie case dalla marea montante. Nelle settimane successive, furono lanciate sottoscrizioni ufficiali e l'Assemblea destino ingenti somme di denaro come indenniz- zo alia massa dei senzatetto. Ma c'era gia il timore che quelle cifre sarebbero state stornate a beneficio di vittime abusive. Tralasciando la cronaca nera, la stampa si era ormai lanciata all'inseguimento di truffatori di un nuovo genere: i «pescatori nel torbido» della manna statale. Davanti a questa catastrofe di portata nazionale, si capisce meglio come mai l'emozione causata dal caso Liabeuf si fosse anch'essa arenata per qualche tempo. 79 13. Parigi inondata, devastata, afflitta, aveva quasi dimenticato il suo «vendicatore coi bracciali di ferro»; ma non si butta tan- to facilmente il bambino con l'acqua sporca. Lunedi 22 febbraio 1910 segno l'avvio di un processo di tipo nuovo. Non quello dell'assassino in persona, rinviato di qualche mese, ma il processo di canonizzazione di Liabeuf ad opera dei suoi seguaci iconoclasti. Ne «L'esempio dell'apache» apparso sulla Guerre Sociale, la procura aveva rilevato il reato di istigazione all'omicidio e il giudice istruttore Joliot aveva avviato la settimana precedente una indagine contro Gustave Herve, direttore della pubblica- zione, e contro il suo amministratore Raoul Auroy. Dal momento che erano stati deferiti davanti all' assise della Senna, contavano di trasformare con ogni mezzo il solenne tribunale nella tribuna di una manifestazione. E quella piccola rivoluzione a palazzo ebbe luogo davvero. A mezzogiorno la sala era gia piena. Nelle prime file, se- duti sui banchi, avvocati e giornalisti accorsi numerosi nella segreta speranza di assistere a qualche memorabile incidente durante l'udienza. Dietro di loro, il pubblico anonimo, accorso per vedere «l'ammazzasbirri» in carne ed ossa, dato che un numero speciale della Guerre Sociale, distribuito nei dintorni del palazzo di giustizia, annunciava l'eccezionale presenza di Liabeuf in qualita di testimone. II presidente Planteau, comunque, non ha intenzione di farsi dettar legge dalla difesa. Ha gia preso la sua decisione: non convochera l'assassino davanti al tribunale, la sua testimo- nianza gli sembra, a priori, fuori luogo. I liabovisti convinti, sparpagliati nella sala, non avranno quindi il privilegio di ve- dere il proprio idolo. Ma avranno ben presto altri motivi per esser soddisfatti. II primo incidente di rilievo accade durante la lettura dei capi di accusa, in cui sono menzionati i principali passaggi dell'articolo incriminato. 80 — Se non si riesce ad apprezzare un pesce senza salsa — ironizza subito Gustave Herve — ancor meno si pud ap- prezzare tale o tal'altra frase come violenta, senza aver preso conoscenza del contesto. Volenti o nolenti, i dodici giurati della Senna stanno per as- sistere ad una curiosa introduzione deH'argomento: il giudice viene obbligato a declamare a voce alta e chiara un articolo in cui ogni parola risuona come un attacco all'ordine pubblico. La lettura de «L'esempio dell'apache» da parte dell'austero magistrato caduto nella propria trappola, non manca di susci- tare un bel frastuono. II tono del processo e dato. E il turno dell'avvocato Jacques Bonzon, che annuncia l'elenco dei testimoni, non meno di una settantina di celebrita citate in giudizio, che per lo piu «saranno esortate a spiegare le brutalita della polizia e cio che si pensa degli agenti della buoncostume.» Un vasto programma che comincia a preoccupare il presi- dente del tribunale. — Secondo lei, se comprendo bene — commenta subito — e la polizia e non il signor Gustave Herve a comparire oggi in corte d' assise. II direttore della Guerre Sociale si alza dal banco per ri- spondere. — Infatti, ci sono due imputati: io e la polizia. II primo testimone non e altri che Henri de Rochefort, de- cano degli scrittori da battaglia francesi, ex-comunardo di 77 anni che ha piu volte cambiato sponda politica, e che ora si serviva delle colonne de la Patrie per lanciare le sue diatribe reazionarie. — In materia di liberta di stampa, e solo il regime del buon gusto ad essere in vigore — precisa questo precursore del giornalismo d'opposizione — Noi viviamo in una casa di... tolleranza. II venerabile Henri de Rochefort sa di cosa parla. Avendo 81 subito nel corso della sua camera non meno di 23 condanne per reati di stampa, detiene al momento il record in questa pe- rigliosa disciplina. Si assistera dunque ad una disputa di procedure sulla liberta di stampa? Si fara valere davanti ai giudici la buona fede di Gustave Herve al momento di redigere il suo delittuoso arti- colo? Assolutamente no. Jacques Bonzon potrebbe accontentarsi di fare a pezzi lo spirito liberticida dei censori. Forse gia cosi l'avrebbe vinta. Ma non e la carta che giochera oggi. Per esperienza sa che, sul terreno puramente giuridico, ha qualche possibilita di far gravare la colpa suH'amministratore del giornale, ritenuto in ultima istanza il solo responsabile del contenuto dell'articolo. In tal caso, Herve non rischierebbe che uno o due mesi di carcere. Fin qui, nulla che fuoriesca dall'or- dinario, poiche e dal 1890 che le carceri di Mazas e Saint-Pe- lagie vedono passare tra le loro mura fortificate tutte le grandi penne da combattimento deU'estrema sinistra e delle leghe ultrapatriottiche e xenofobe. D'altronde e nella promiscuita delle celle, adeguatamente risistemate per questi illustri ospiti, che numerose alleanze politiche quanto mai paradossali sono state strette e sciolte durante la Belle Epoque. Ma l'avvocato ha optato per ben altra linea di difesa. Tra- scurando la battaglia formale per la liberta di stampa, decide di attaccare il nocciolo della questione. A rischio e pericolo del suo cliente, quantunque non vi sia alcun dubbio che Gustave Herve abbia egli stesso orchestrato, nell'ombra, questa delica- ta strategia. Durante i due giorni dell'udienza, Jacques Bonzon non avra che un solo obiettivo: non spiegare o attenuare la portata dell'«istigazione all'omicidio» dell'autore, bensi giustificarlo punto per punto. Questo tour de force ricorda sotto molti aspetti le dispute di Zola con la giustizia dopo la pubblicazione della sua lettera 82 aperta «J'accuse», dodici anni prima. II suo processo per dif- famazione, il 17 febbraio 1898, non era stato forse anch'esso un'occasione per trattare il cuore della questione, evocando proprio la presenza di falsi documenti nell'atto di accusa con- tra Dreyfus? Del tutto ispirato da quel memorabile precedente, Bonzon va molto piii lontano. L'avvocato si scambia di ruolo col pub- blico ministero, obbligando la buoncostume a figurare come imputata al posto del giornalista agitatore. La prima giornata e interamente dedicata alle «violenze poliziesche». I deputati socialisti Sembat, Vaillant e Jaures ri- feriscono di come siano stati trattati dagli sbirri nel corso di una recente manifestazione. Un consigliere municipale prate - sta contra l'uso dei cani poliziotto. Un vecchio ministro, Yves Guyot, evoca diversi scandali che hanno messo in luce la cor- ruzione degli agenti in borghese e invoca la soppressione del servizio della buoncostume. Tre rinomati avvocati sottolinea- no a loro volta come le testimonianze della polizia in borghese siano poco attendibili. Secondo loro, i fantasiosi rapporti di questi «bugiardi giurati» godono da troppo tempo della colpe- vole fiducia dei tribunali. II presidente, non potendo egli stesso «intralciare il corso della giustizia», si accontenta di subire questo insidioso sov- vertimento del dibattimento. La difesa si e perfmo pagata il lusso di far venire alia sbarra un avvocato conosciuto per le sue posizioni di destra, de Mora Giafferi, che rende comunque omaggio a Gustave Herve. — Io non disprezzo i rivoluzionari — concludera con ele- ganza — fin quando non diventano ministri. Ludienza del giorno dopo si preannuncia ancora piii turbo- lenta. Primo testimone citato dalla difesa: uno dei leader della CGT, Georges Yvetot. Subito l'anarcosindacalista comincia a schernire gli «igno- bili individui che popolano la sbirraglia». 83 — Ritirate quanto avete detto — s'impunta l'avvocato ge- nerate, il cui fisico secco e autoritario contrasta con la generosa rotondita del presidente del tribunale. — Nient'affatto. Mi avete fatto giurare di dire la verita: io dico la verita. — Testimone, ritiratevi — ordina il giudice. — No. Georges Yvetot si aggrappa alia sbarra e prosegue la sua arringa in mezzo al clamore generale. Due guardie lo afferrano senza riguardo. II pedagogo e conferenziere anarchico Sebastien Faure che gli succede, rincara la dose: «gli agenti sono solo dei selvaggi il cui aspetto rimanda alia bestialita». Viene espulso all'istante. Volano insulti dalla sala, arroventata da una rumorosa mino- ranza di simpatizzanti libertari ed «herveisti». La calma viene presto ristabilita. Si apre allora un secondo processo nel processo, quello per riabilitare Liabeuf . . . i signori Humblot, Sedrac e Brant, suoi vecchi padroni, testimoniano della «moralita» di questo «ope- raio dalle mani callose». Viene infine il turno di Miguel Alme- reyda, il quale spiega ai giurati i risultati della sua inchiesta sull'esemplare calzolaio, indegnamente perseguitato da due agenti della buoncostume piuttosto particolari. L'eloquente dandy convince forse la stampa e il pubblico, ma sembra lasciare impassibile la giuria. Neanche l'avvocato generale Trouard-Riolle si lascia coin- volgere e ricusa in blocco tutte le fonti di informazione del se- gretario di redazione della Guerre Sociale. Riuscendo di colpo a portare i buontemponi dalla sua parte, ribalta i ruoli e tratta il giovane reporter estremista come un «giudice istruttore di Gustave Herve»... Liabeuf, «vittima della buoncostume» ! Almereyda, «giudice istruttore» ! Di fatto, l'avvocato generale non ha ancora realizzato a spese di chi i ruoli si siano invertiti. Per l'opinione pubblica, che leggera sulla stampa del giorno dopo il resoconto integrale 84 del dibattimento, il caso e chiaro: la colpa e equamente divisa. Da una parte, un bandito d'onore, Liabeuf. Dall'altra, un'istituzione disonorata, la polizia. Dopo una severa requisitoria dell'avvocato Trouard-Riolle e una roboante replica di Bonzon, la parola e data all'accusato, che si alza, sicuro di aggravare il suo caso, ma col sorriso sulle labbra. — Confesso di essere stato molto piu commosso quando ho saputo della recente catastrofe dello «Chanzy», che nel leggere i dettagli dell'uccisione per mano di Liabeuf dell'agente De- ray, vittima di un incidente sul lavoro. Su quest' ultima battuta, i dodici giurati abbandonano la sala d'udienza. Sara sufficiente un'ora per deliberare. La giuria riporta un verdetto «affermativo senza circostanze attenuanti» per Gusta- ve Herve e «negativo» a favore del suo amministratore, libe- rato sul posto. La corte si ritira a sua volta per valutare la pena. E in quel preciso momento che scoppia la tempesta che cova da piu di due giorni. L'aula viene invasa dalla folia che comincia ad inveire contro i membri della giuria, una massa ringhiante, «epilettiforme», scrivera un giornalista presente al momento dell'assalto. II presidente dei giurati Radius, un gioielliere con barba bianca, monocolo e croce della legione d'onore, non pud sop- portare l'oltraggio. — Se continuate cosi — rivolgendosi a due giovani capel- loni che lo insultano — devo farvi uscire. Malgrado il moto di protesta generale, aggiunge: — Siete tutti dei fannulloni! Si arriva quasi alle mani, cosa che non si era mai vista nel- l'aula di un tribunale della Repubblica. L'avvocato Trouard- Riolle scende dal suo scranno e fa proteggere la giuria dalle guardie. In cio Bonzon trova un pretesto insperato per un vizio di forma, e redige subito le sue «conclusioni»: uno dei giurati 85 ha mancato in maniera esplicita al suo dovere di riserbo. L'avvocato generale protesta e accusa il collega e avversa- rio d'aver scientemente organizzato, con i suoi «amici» anar- chici, quell'intempestivo assembramento. Bonzon esige scuse immediate. I toni salgono fra la difesa e l'accusa. I due avvoca- ti arrivano a scambiarsi i rispettivi biglietti da visita. Si sfidano pubblicamente a duello. . . Nel resto della sala, si e all'apice di una specie di manife- stazione: «Viva la Sociale! Viva Liabeuf e Herve! Morte agli sbirri! Viva i ragazzi della Caienna!». II ritorno del presidente Planteau passa inosservato. Legge la sentenza della corte, che nessuno e piu in grado di ascoltare. Ma quest'ultima cagnara pud anche coprire la sua voce be- lante, la giustizia si e comunque pronunciata: Gustave Herve viene condannato a 4 anni di carcere e a mille franchi di am- menda. E la pena piu pesante mai inflitta per reato di stampa sotto la III repubblica. Col ricorso in cassazione, ha ancora una settimana di tre- gua prima del suo arresto. E, soprattutto, il tempo di raduna- re attorno alia causa «liabovista» il meglio dell'intellighenzia moderata e l'immensa maggioranza dei socialisti, fino a quel momento indecisi. «Quando avro trascorso 50 anni in prigione — ironizzera il giorno dopo dalle colonne della Guerre sociale — avro diritto a una tabaccheria». Sulla stessa pagina, una cornice nera riquadrera un articolo intitolato «Alla gogna», con nomi, professione e indirizzi dei dodici giurati. 86 14. Paradossalmente, Herve aveva vinto la scommessa. La sua pesante condanna lasciava sbalorditi. E sull'onda di questo fat- to sorprendente era cambiato il peso politico del caso Liabeuf. La direzione della SFIO, che fino a quel momento non si era schierata, si senti obbligata a difendere la sua minoranza «her- veista». Lo stesso Jean Jaures, risoluto nel conciliare le frazio- ni «rivoluzionarie» e «parlamentari» del suo movimento, non aveva forse testimoniato al processo del suo «compagno» e fratello nemico di estrema sinistra? Cosi, VHumanite si infiammo: Quattro anni di carcere per un articolo di giornale, per aver manifestato un'opinione! Da quella sera d'inverno grigia e piovosa, in quell'aula male illuminata, la lettura di un verdetto di odio e di sofferenza ci fa salire in petto una pena infinita! Come dodici anni fa, nella stessa aula, davanti alle stesse to- ghe rosse, quando Zola fu condannato dagli stessi uomini che piu tardi l'avrebbero glorificato, una giuria, scelta tra le piu settarie dei reazionari, ha imbavagliato il libero pensiero, ha lanciato una sfida a tutta l'evoluzione moderna. Anche tra la stampa filogovernativa cominciavano a farsi sentire alcune voci discordanti. Nouvelles considerava la pena «severa», mentre il Radical riassumeva sottilmente: In questo processo, ieri c'erano due accusati — oggi ci sono due condannati. II direttore della Guerre Sociale e la buonco- stume. L'avvocato generale ha accusato l'uno e difeso l'altra. Trouard-Riolle ha forse dimenticato che il consiglio municipa- le di Parigi si e gia pronunciato per la soppressione di questa polizia dei costumi? II sistema di difesa di Bonzon aveva portato i suoi frutti, non nella circoscritta aula del tribunale, ma nel piu vasto ambito a cui mirava, quello dell'opinione pubblica che aveva preferito dare i suoi voti alia sinistra moderata. 87 Altro paradosso di questa strategia giudiziaria: Herve sot- traeva la prima pagina a Liabeuf. Non era dato leggere sui giornali la benche minima notizia sul prigioniero. A malapena le Petit Parisien riportava che il forsennato, rinsavito, man- giava poco e passava la maggior parte del tempo a leggere racconti di viaggio e a disegnare. Indifferente al chiasso militante fatto attorno al suo nome, l'assassino di via Aubry-le-Boucher era diventato il pretesto di uno scandalo che andava ben oltre. Ma l'imputato, avrebbe saputo mantenere le sue promesse davanti ai giudici? Dopo quattro mesi di solitudine forzata, il fiero vendicatore sarebbe stato all'altezza della sua leggenda? Si e no. Difatti quel mattino del 4 maggio 1910, entrando nell'aula delle udienze, l'accusato non era che l'ombra di se stesso. II pubblico, scelto con cura per evitare possibili interferen- ze dello «stato maggiore dell'anarchia», si aspettava di ve- der comparire un feroce rivoltoso, un bruto dal collo taurino, come il suo strano soprannome poteva far credere. La realta era un'altra. La Parigi mondana accorsa alio spettacolo vide presentarsi un uomo dalle gambe corte e la schiena quasi cur- va, con la testa incavata nelle spalle e pallido in viso. Solo la sua prominente mascella coincideva col ritratto tipico del «criminale-nato» che lo scienziato italiano Lombroso avrebbe tratteggiato nei suoi libri, vent'anni piu tardi, e che tutte le polizie d'Europa avrebbero in seguito adottato. Vestito con un completo scuro di buona fattura, col collo impacciato nel colletto inamidato e una cravatta nera, l'accu- sato assomigliava a un qualunque commesso viaggiatore che un eccessivo amore per le donne facili aveva condotto sul ban- co del disonore. Dov'era finito il sanguinario uccisore di sbirri? La buona societa era venuta a spiare gli ultimi rantoli di odio di quella «bestia ferita»: che cosa ne avevano fatto? Alia vista di quella caricatura d'impiegato modello, un re- porter di grido arrivera a scrivere: «L'assassino ci ha deluso». E nonostante cid, non v'era dubbio alcuno. Quel giovanotto quasi distinto, che ascoltava il cancelliere leggere con voce marziale l'atto di accusa, era proprio colui che aveva tenuto testa a sette guardie. D'altronde, tra i corpi del reato in mostra su un tavolo posto al centra dell' aula, il suo trincetto portava ancora le tracce del sangue dell'agente Deray. L'interrogatorio dell'imputato, condotto sobriamente dal presidente Fabry, non avrebbe riservato grandi sorprese. II ma- gistrate, riassumendo i fatti salienti della sua breve esistenza, si soffermd sui suoi precedenti giudiziari. Da parte sua, Lia- beuf rispose con semplici monosillabi: a volte «si», a volte «no». Solo il richiamo alia sua condanna per «vagabondaggio speciale» lo fara uscire dall'inaspettato letargo. — Protesto. Non sono un protettore. Condannandomi, e stato commesso un errore giudiziario. Sono stato colpito da divieto di soggiorno per questo. Ebbene, preferisco ancora la ghigliottina. — Se quella condanna era ingiusta, perche non avete fatto appello? — obietto il presidente Fabry. Liabeuf si limito a fare una smorfia di delusione. Avrebbe potuto ricordare la malaugurata assenza di Deloncle, il suo av- vocato d'ufficio all'epoca dell'udienza conclusasi nel luglio 1909. Ma, per lui, cercare la minima giustificazione avrebbe significato ancora una volta piegarsi. Per il magistrate quel silenzio valeva invece come una con- fessione. La confessione che la pretesa indignazione di Liabeuf, avanzata in quel momento per giustificare la sua vendetta, non fosse che un'ubbia tardiva. Per un uomo di legge come Fabry, un condannato che, senza aver fatto appello il giorno dopo la sentenza, si mette a contestarla un anno piu tardi, e doppia- mente colpevole: del suo crimine e della sua malafede. Da quel momento, il presidente del tribunale escluse dal dibattito tutte le allusioni fuori luogo riferite all'«errore giudiziario» di cui sarebbe stato vittima quell' acclarato prosseneta. 89 Non sarebbero piu tomati sul fatto giudicato. Col suo rifiuto di spiegarsi, Liabeuf aveva appena perso il diritto di invocare il suo unico «movente» e, di conseguenza, aveva appena firmato la sua condanna a morte. Ma perche l'accusato ha deliberatamente scelto di tacere? Non perche temesse di contraddirsi o mancasse d'argomen- ti, tuttavia, essendosi gia fatto giustizia da solo, non aveva piu niente da provare, ne alia corte, ne ad altri. E le rare volte in cui avrebbe preso la parola, sarebbe stato ancora e sempre per invocare a proprie spese la pena capitale, quella sentenza su- prema che diceva di meritare alio stesso titolo dei due sbirri che avrebbe voluto uccidere. Per tutto il dibattimento, l'accusato non perdera mai quel- l'aria stanca, che alcuni interpretarono come un segno di sot- tomissione, e che rivelava invece un sentimento di fierezza pudicamente contenuto, un semi-mutismo un po' eroico e un po' suicida. — All'epoca non avevate casa? — chiede il magistrate — Dove avete confezionato i vostri bracciali? — Chi vi ha dato l'idea di equipaggiarvi cosi? — Io stesso — concede Liabeuf — Volevo anche costruire un casco irto di punte, ma non ne ho avuto la pazienza. . . — Parlateci ora della vostra battaglia con gli agenti — or- dina il magistrate Nella sala la folia, avida d'emozioni forti, tratteneva il fiato. Inutilmente. Liabeuf scosse a lungo la testa. — Non ricordo nulla — mormoro infine. L'ora del confronto e scoccata. Gli agenti Fournes, Boulot e Vandon vengono a testimonia- re l'orribile massacro, esibendo sul petto le medaglie che sono state loro assegnate per «i servigi resi alia Repubblica». — Ecco le vittime — conclude il presidente — Avete qual- cosa da dichiarare? 90 — Mi spiace — comincia Liabeuf con voce piana — Mi dispiace di non aver avuto Maugras. Giustamente l'ordine delle convocazioni vuole che l'agente Maugras sia il prossimo testimone chiamato alia sbarra. Lia- beuf lascia trasparire qualche segno di nervosismo. Da quasi un anno non rivede il suo nemico mortale. — Ho conosciuto Liabeuf nel rione Saint-Merri dove fre- quentava un bar pieno di sbandati. Nel corso della sorveglian- za, abbiamo acquisito la convinzione che fosse di sicuro un protettore. Liabeuf s'alza di colpo in piedi. — Quell'uomo mente. — E la verita — prosegue Maugras cercando di mantene- re la calma — Posso anche precisare che Alexandrine Pigeon vi passava ogni giorno cinque franchi avuti per la generosita di un amante chiamato Gaston, il quale voile anche sfidarvi a duello col pugnale. — Voi mentite, io non conosco questo Gaston — replica Liabeuf. Maugras insiste. — Fate venire il vostro testimone — chiede la difesa. II magistrato fa cercare Gaston. Non lo troveranno prima della fine del processo. Qualora sia reperibile, decisamente nessuno ci tiene a farlo deporre. Lincidente e anche in questo caso singolare. Liabeuf avreb- be potuto facilmente «attaccare» il rivale Gaston, un ruffiano che il poliziotto ha appena fatto passare abilmente per un «ge- neroso amante». Ma ha troppo sofferto per un'ingiusta dela- zione per prestarvisi a sua volta. Quelli sono giochetti ripu- gnanti per chi si appresta a pagare con la vita una riabilitazione postuma. Avendo il suo cliente, fin dall'inizio dell'udienza, reclamato la «ghigliottina» di propria sponte, il compito di Leduc non e affatto facile. Tanto piu che, per tutta la durata di quei due gior- ni, i testimoni della difesa sfilando alia sbarra non faranno che 91 ripetere quanto hanno gia dichiarato davanti alia stessa corte d'assise tre mesi prima. Di colpo il suo sistema di difesa, che e solo la pallida copia della strategia messa in atto nel corso del processo Herve, pare svuotato di sostanza. Non un solo nuovo elemento da invocare. E nessun aiuto da attendersi da un pub- blico accuratamente scelto. L'avvocato parte battuto in partenza, d'accordo. Ma si sa- rebbe dovuto creare l'avvenimento. II processo Liabeuf, an- nunciate) a gran voce dalla stampa, si potrebbe definire dal- l'inizio alia fine quello che ai nostri giorni e detto un flop. L'avvocato generale, sobrio ma impietoso, chiedera la mas- sima pena; subito dopo, Lucien Leduc aveva tentato di rifare il processo alia polizia. Senza successo. Col senno del poi, un argomento essenziale parrebbe essere stato un po' trascurato dalla difesa: quello della non responsa- bilita, che l'avvocato avrebbe potuto invocare anche contro il parere del suo cliente. Di fatto, dopo il rapporto medico con- segnato al giudice Drapier, non venne richiesta alcuna contro- perizia psichiatrica. Eppure, ecco cosa dichiaro nel 1930 un eminente psichiatra, presente durante il processo, a proposito del caso Liabeuf: Si riesce a concepire con difficolta che un essere immorale, condannato per furto, che ama frequentare gente la cui im- moralita e nota, abbia avuto un amor proprio cosi sensibile da diventare folle perche accusato d'essere un protettore. Ne concludo che Liabeuf era verosimilmente quello che noi oggi definiamo un delirante sistematico. Quell'uomo aveva un'idea quasi sacra della giustizia, e questo e cosi vero che ha accettato di salire sul patibolo per pagare il prezzo del suo crimine. Improvvisamente, dopo lo choc iniziale costituito da una con- danna che reputava ingiusta, gli e venuta in mente un'idea de- lirante, la vendetta, diventata il sistema di tutta la sua vita. II sentimento di un brutale rifiuto di avere giustizia e bastato per fare di lui, da un giorno all'altro, un delirante sistematico. 92 Quali che siano i pregiudizi morali o pseudoscientifici pro- pri di questo genere di diagnosi, si pud pensare in maniera re- troattiva che avrebbe avuto un certo peso al momento della deliberazione della giuria. Un semplice dubbio sul disturbo mentale dell'accusato avrebbe potuto, a partire da cid, permet- tere di accordargli quanto meno le circostanze attenuanti, se non il rilascio e l'internamento. Ma era il caso, per provare a salvargli la testa, di fargli per- dere l'onore di assumersi la responsabilita del proprio gesto? Alle ventinove domande che erano state loro poste, i giurati risposero affermativamente. Liabeuf non ispirava la minima pieta. Quindi, la sentenza fu la morte. Alia lettura del verdetto, Liabeuf ebbe un leggero males- sere. Ma, nel momento in cui in gendarmi volevano portarlo fuori dall'aula, esclamd con un ultimo mo to d'orgoglio: — Se mi avete condannato, e come assassino e non come magnaccia. Davanti alia ghigliottina e fino all'ultima goccia del mio sangue, protestero la mia innocenza. Un pesante silenzio segui queste decise parole. Grazie ad un'indiscrezione rimasta segreta, un giornalista pubblichera questo curioso grido accorato dell'avvocato ge- nerale: — Sapevo che era pazzo. Ma, tuttavia. . . 93 15. «Liabeuf e condannato a morte. Se si osasse compiere que- sto mostruoso crimine, mille volte piu abominevole della mor- te dell'agente Deray, io chiedo a tutti gli uomini e alle donne di cuore che hanno seguito questa angosciante vicenda di venire a gridare la loro indignazione vicino al patibolo. «Quanto a me — scrive Gustave Herve la settimana succes- siva il processo — non sard libera quando si perpetrera questo delitto. Ma considero come l'onore della mia vita di giorna- lista fare quattro anni di prigione per aver cercato di salvare questa vittima della buoncostume». II ricorso in cassazione, depositato il 7 marzo da Leduc, venne rigettato. Malgrado tutto, la Guerre Sociale non si diede per vinta. II settimanale stava per lanciare tutte le sue risorse militanti in un' ultima battaglia per la «grazia a Liabeuf». Nei confronti di questa sentenza senza appello, caddero per- fmo le ultime reticenze degli ambienti radicali e socialisti. «No, decisamente, la giustizia non e di questo mondo», concludeva con enfasi Leon Bailby, il celebre capo redattore deWIntransigeant. Giorno dopo giorno, l'emozione cresceva. Voci sempre piu numerose si alzavano per stigmatizzare «l'abominevole verdetto». Oltre agli organi militanti della si- nistra, anche i fogli filogovernativi uscirono dal loro abituale riserbo. «Forse la scusante e alia portata di tutti i criminali. E nono- stante cio, l'errore giudiziario e sempre un autentico dramma, cosi straziante che non si pud evocarlo senza allarmare le co- scienze della gente perbene. II caso Liabeuf mette a disagio», avvertiva il direttore delle Nouvelles. Mentre una penna del Progres, coperta da anonimato, si spinse ben al di la delle convenienze: Nessuno, i giudici meno di altri, crede all' infallibility e alia 94 buona fede della buoncostume. Non compatiremo quindi que- sti magistrati, il giorno in cui la moglie o la figlia di uno di loro saranno vittime dell'estorsione della famigerata buonco- stume. Avvenimento alquanto raro da sottolineare, due giornali ai confini dell'estrema destra, la Patrie e la Libre-Parole, decise- ro di prendere le parti del condannato promesso alia ghigliot- tina. La considerevole ampiezza di questa campagna di stampa meriterebbe da sola un intero volume. Si distingueranno tuttavia due tendenze tra i difensori di Liabeuf. Quelli della prima ora, come lo scrittore Henry Bauer citato dalla Guerre Sociale, criticavano «l'arringa insicura» e «priva di calore, di mordente, di esperienza» di Lucien Leduc. Secon- do loro, l'avvocato non aveva saputo dare una vera e propria dimensione politica al processo. Gli aderenti deH'ultimo minuto, invece, accusavano i par- tigiani di Gustave Herve di aver aizzato la giuria con le loro virulente manifestazioni di simpatia: «Se lo sfortunato viene condotto al patibolo, questa morte sara opera di tutti coloro che, per calcolo politico, hanno sconvolto l'opinione pubbli- ca», rilevera Daniel Renoult nel Semeur. E uno dei dilemmi essenziali di questo caso. Era necessario politicizzare il dibattito e attaccare frontal- mente i «costumi» della polizia dallo stesso nome, per meglio convincere della falsa testimonianza dei poliziotti in borghese Maugras e Vors? O sarebbe stato meglio restare sul mero terreno del diritto penale distinguendo abilmente la «premeditazione dell'omici- dio» nei confronti dell'agente Maugras, risoltasi senza conse- guenze, dall'«omicidio casuale» — percosi dire — dell'agen- te Deray? II potente movimento d'opinione avviatosi scordo ben pre- 95 sto queste questioni interne. Era giunta l'ora delle petizioni, delle lettere aperte degli intellettuali, dei meeting di massa. Ogni settimana del maggio 1910 l'infaticabile Guerre So- ciale, la cui tiratura era decuplicata, titolera su otto colonne: «Grazia per Liabeuf!» Ma cosa ne pensava l'interessato? Dopo una prima visita nella cella di Liabeuf, Leduc se n'era andato con le pive nel sacco. In effetti, il condannato rifiutava ostinatamente di firmare il suo «ricorso alia grazia». — Se sard graziato, la mia condanna come protettore verra cancellata? — aveva subito chiesto. La risposta imbarazzata del suo difensore non l'aveva con- vinto. Si era incaponito, come sempre. Di fatto, quel giovane uomo di ventiquattro anni non era sostanzialmente cambiato dalla scuola elementare. Ma il ragazzino dal carattere testardo, per questo canzonato, rischiava ora di pagare la sua ostinazio- ne a caro prezzo, con la sua testa «di mulo» appunto. L'avvocato aveva ovviamente rinnovato la sua richiesta al proprio cliente. Invano. II mattino del 5 giugno ricevette una lettera che fini per sco- raggiarlo. Caro Awocato, Dopo aver ben riflettuto su tutto cio che mi avete detto nel- la vostra ultima visita, mi sono deciso a questo: rifiuto una volta per tutte di firmare il mio ricorso alia grazia, poiche se lo firmassi, questo significherebbe chiedere in qualche modo perdono dell'atto che ho commesso, e per me sarebbe umiliar- mi di fronte a coloro che hanno causato la mia rovina, questi agenti senza dignita che, approfittando della loro credibility, mi hanno vilmente e falsamente accusato, sapendo che non potevo lottare con loro ad armi pari e che non hanno avuto l'onesta di ritornare sulle loro false e infami deposizioni che avevano costruito di sana pianta per distruggermi. 96 Come vi ho detto, non chiedo perdono; tutt'al piu un po' di pieta da parte delle persone intelligenti e umane che mi ca- piranno, e siate certo, caro Avvocato, che malgrado tutto non sara la mia condanna a morte, ne la mia esecuzione, a far di me un protettore. Ricevete, caro Avvocato, da colui che resta vostro umile e de- voto servitore, l'assicurazione del mio piu profondo rispetto. J. Liabeuf, vittima della buoncostume II pomeriggio stesso Lucien Leduc riuscira, nel corso di un misterioso colloquio, a convincere il detenuto recalcitrante. Liabeuf finalmente firmd, ma di malavoglia, se cosi si pud dire. Chiuso alia fine il dossier, non restava che rimetterlo nelle mani del presidente della Repubblica, Fallieres. L'appuntamento fu fissato per il 9 giugno. Accompagnato da Deloncle, il primo avvocato fantasma di Liabeuf, Lucien Leduc mise al primo posto la giovane eta del condannato, la sua moralita attestata dai vecchi padroni e la sua buona con- dotta in prigione. Tutti argomenti che potevano attecchire, co- noscendo la reputazione del capo dello Stato. Questo, senza contare sulla casualita del calendario rivolu- zionario, nel vero senso del temine. Perche, mentre l'avvocato chiedeva la grazia per il suo cliente, all'altro capo di Parigi la strada aveva preso appuntamento con la rivolta. Infatti qualche giorno prima Henri Clerc, un operaio eba- nista, aveva trovato la morte in Faubourg-Saint-Antoine, nel corso di violenti tafferugli tra scioperanti e forze dell'ordine. In quel pomeriggio del 9 giugno, i rivoluzionari di tutte le tendenze decisero di dare alle esequie un tono particolare. Avevano aderito al corteo funebre partigiani dello sciopero ge- nerate, adepti del sabotaggio e semplici operai solidali, per un totale di quasi diecimila manifestanti. Gli incidenti si moltipli- carono lungo il percorso. Un imponente servizio d'ordine era 97 stato piazzato vicino alia porta Flandre, col compito di disper- dere quella massa inquietante. Scartati dalle istanze dirigistiche della CGT fin dal 1908, gli anarcosindacalisti trovavano la l'occasione di un ultimo moto d'orgoglio. Per la prima volta dopo molto tempo si vide la polizia, con la cavalleria mobilitata per ordine del prefetto Lepine, dare le tre intimazioni regolamentari alia folia turbolenta che ancora si accalcava attorno a due bandiere, una rossa e l'altra nera. L' ordine echeggio, breve: «Avanti! Sciabola alia mano!». I manifestanti cominciarono a defluire in disordine, poi tor- narono a occupare la piazza. Non si sa a chi venne per primo l'idea, ma ben presto furono centinaia le voci che ripresero all'unisono questo grido spontaneo: «Assassini! Viva Liabeuf!». Le terrazze dei caffe furono ben presto saccheggiate. Servi- vano sedie e tavolini per costruire barricate. Proiettili improv- visati volarono in tutti i sensi, mentre le cariche delle corazzate a cavallo seminavano il panico nelle vie adiacenti. Solo la notte spegnera questo inizio di insurrezione. Si contarono almeno duecentocinquanta feriti tra le forze dell' ordine. E probabilmente di piu dalla parte dei manifestanti. Ormai preso tra due fuochi, il presidente Fallieres non sape- va piu a che santo votarsi. Dar prova di una giusta clemenza nei confronti di Liabeuf avrebbe significato amplificare i peggiori nemici del regime. Cedere alia mansuetudine che gli dettava la coscienza sarebbe stato come cedere alle parole d'ordine «liaboviste» dei rivoltosi. II prefetto Lepine non avrebbe mancato di ricordarglielo prossimamente. Martedi 16 giugno, la potente federazione socialista della Senna organizzo un incontro in favore del condannato a mor- te. Alle 9 di sera la sala Tivoli-Vauxhall, in via Douane, che poteva contenere settemila persone, era stracolma. Centinaia 98 di parigini attendevano ancora all'esterno, straripando fino a piazza de la Republique, l'arrivo imminente di numerosi de- putati di parti to. Dall'alto della sua tribuna, Jean Jaures concluse l'incontro pubblico con queste parole: Protesto nel nome del diritto e della ragione contro la proget- tata esecuzione di Liabeuf, spinto alia ribellione da un'ingiusta condanna, opera della buoncostume. E chiedo solennemente al presidente della Repubblica di usare bene il suo diritto di concedere la grazia. Anche la petizione a favore della grazia di Liabeuf aveva assunto un'ampiezza come i suoi stessi ispiratori non avevano osato sperare. A meta giugno contava gia quattromilasettecen- to firme, tra cui numerosissimi studiosi, letterati e pittori. Tra queste «personalita conosciute per la loro onorabilita»: Lucien Descaves, Jacques Dhur, Augustin Hamon, Andre Ibels, 1' abate Lemire, Charles Malato, Victor Meric, Octave Mirbeau, Camille Pelletan, Georges Pioch, Henri Rochefort, Severine, Steinlen, Felix Valloton... Perfmo Edouard Drumont, il nemico della «Francia giudea» e amico dell'ordine poliziesco, aveva alia fine acconsentito ad apporre la sua firma. L'emozione non si limito al piccolo mondo della stampa pa- rigina. Come ben sottolineava la Guerre Sociale, le redazioni di una trentina di giornali della provincia avevano a loro volta richiamato il presidente Fallieres alia clemenza. Ancor meglio, I'Humanite del 19 giugno pubblico in prima pagina le lettere aperte dei membri della Lega dei diritti del- l'uomo. Gustave Herve, benche rinchiuso nella «casa di correzione per prigionieri politici» (sic!), poteva essere soddisfatto. Ave- va ottenuto il suo scopo; sette dei piu illustri dreyfusardi della precedente generazione contribuivano oramai col loro concor- so alia causa liabovista: Anatole France, dell'Accademia di Francia; Paul Painleve, 99 membro dell'Istituto nazionale e deputato; Levy-Bruhl, pro- fessore alia Sorbona; Salomon Reinach, membro dell'Istituto; Victor Basch, professore alia Sorbona; Charles Andler, profes- sore alia Sorbona. Forti dei prestigiosi appoggi ricevuti dall'intellighenzia mo- derata e del sostegno delle frazioni alia fine riconciliate della sinistra politica e sindacale, i difensori di Liabeuf pensarono, forse a giusto titolo, che la partita fosse vinta. Ciononostante, erano quasi due settimane che il dossier del ricorso di grazia era stato inviato all'Eliseo. II mese di giugno era prossimo alia fine. Piu la risposta tardava, piu diventava incerta. Solo Liabeuf dimostrava una totale indifferenza rispetto al macabro conto alia rovescia. Al suo avvocato, venuto ad informarlo delle ultime voci sul- la sua ipotetica grazia, dichiaro quasi serenamente: — Sono sicuro che sard ghigliottinato. Non ho paura. Non chiedo che un favore supremo: che mi si accordino tre minuti per dire alle persone che verranno ai piedi del patibolo che non sono mai stato un magnaccia. La lenta metamorfosi da assassino a martire era quasi ulti- mata. Come faceva notare Marcel Boulanger in un ironico corsivo apparso su\Y Intransigeant del 20 giugno: Si potrebbe ghigliottinare Liabeuf. . . e poi fargli una statua in qualche luogo. Sarebbe piu semplice graziarlo, se si osasse, se si potesse. 100 16. La suspense era al culmine, in quell'ultima settimana di giu- gno del 1910. II quartiere di Croissant, dov'erano concentrati i locali della maggior parte dei quotidiani nazionali, brulicava delle voci piu pazzesche. L' ultima in ordine di tempo riguar- dava il capo del governo, Aristide Briand. In seguito ad un colloquio con il ministro della giustizia, lo si sarebbe sentito dichiarare: «I1 caso e a buon punto». Briand, liabovista convinto? II vecchio difensore delle cause perse della classe operaia aveva in effetti qualche ragione per commuoversi davanti alia sorte riservata a quella «vittima della buoncostume». Vent'an- ni prima, il giovane avvocato socialista si era fatto egli stesso intrappolare da una singolare macchinazione poliziesca. Al- l'epoca era l'amante di una donna della buona societa di Saint- Nazaire. Una guardia campestre, avendoli sorpresi avvinghiati in una landa desolata, li aveva denunciati: attentato al pudore in flagranza di reato. Condannato per «attentato alia moralita», il reo confesso era stato radiato dal foro di Saint-Nazaire. Certe ferite deH'amor proprio non si rimarginano mai. Chi meglio di Briand poteva comprendere, se non scusare, la spira- le criminale di un uomo ingiustamente disonorato. Ma questo tardivo e prezioso alleato sarebbe stato sufficien- te a convincere il capo dello Stato in persona? Non era la prima volta che il presidente Fallieres si trovava di fronte ad un simile caso di coscienza. Ogni nuovo ricorso per la grazia lo poneva davanti alio stesso intollerabile dilem- ma. Lo metteva davanti al piu flagrante dei suoi rinnegamen- ti, soprattutto, poiche gli argomenti sulla sicurezza avrebbero avuto ben presto ragione delle sue piu intime convinzioni. Settuagenario nativo della Lot-et-Garonne, questo notabile dall'appetito leggendario non aveva mai nascosto i suoi dubbi sulla pretesa esemplarita della pena di morte. Anziano avvo- cato egli stesso, e figura eminente della sinistra repubblicana, 101 faceva mostra da lunga data delle sue posizioni «abolizioni- ste». Eletto il 18 febbraio 1906, decise quindi, in accordo con il capo del governo Georges Clemenceau, di ricorrere sistema- ticamente alia grazia. Cosa promessa, cosa fatta. Dal 1906 al 1908, la pena di morte fu di fatto soppressa. La commissione di Budget ratified quella decisione sciogliendo «il contratto» relativo alia manutenzione delle due ghigliottine fino ad allora in uso, cosi come le «retribuzioni» del funzionario esecutore Anatole Deibler. Costui, posto in disoccupazione tecnica, si stabili provvisoriamente come piazzista di vini della Champa- gne. Durante questo periodo, 133 condannati a morte sfuggi- rono al taglio fatale. Venne allora il caso Soleilland. II 14 febbraio 1907, un falegname del quartiere della Ba- stille, Albert Soleilland, che aveva portato la piccola Marthe Erbingler a vedere uno spettacolo al teatro Le Ba-Ta-Clan, aveva abusato sessualmente della ragazzina di 12 anni, prima di strangolarla, per poi abbandonarne il cadavere, fatto a pezzi, in un deposito della stazione dell'Est. Quel fatto di cronaca nera particolarmente sordido com- mosse la Francia intera. Quasi centomila parigini seguirono il carro funebre fino al cimitero di Pantin. II 23 luglio, la cor- te d'assise della Senna condanno a morte l'assassino. Perfmo sua moglie, l'imminente vedova, applaudi alia lettura del ver- detto. Fedele alle sue convinzioni, Fallieres, il 13 settembre, concesse la grazia a una grande quantita di condannati, tra cui Soleilland. L'indomani i sobborghi della Parigi popolare si levarono in massa. Raduni piii o meno spontanei confiuirono verso il pa- lazzo dell'Eliseo al grido di: «Abbasso Fallieres! Dimissioni! Soleilland alia ghigliottina! Viva Deibler !» Cera il rischio che la provincia, in maggioranza favorevole alia pena capitale, non perdonasse ai suoi eletti radicali l'osti- nazione del capo dello Stato. Nell'ottobre del 1908 una banda di malfattori, che da molti 102 anni terrorizzava la popolazione del Pas-de-Calais, fu messa ai ferri. Questi «banditi del Nord» avevano non meno di sette omicidi al loro attivo. I fratelli Pollet e due dei loro compari furono dunque condannati a morte. L'attenzione saliva in tutta la regione e Fallieres, per la prima volta, dovette cedere. Davanti a una folia di parecchie decine di migliaia di maca- bri spettatori, Anatole Deibler procedette alia quadrupla esecu- zione sulla grande piazza di Bethune. Quella notte del 10 gennaio del 1909 traccio la fine di un eccezionale periodo di mansuetudine della presidenza nella storia della giustizia francese. E questo, per quasi un anno, giorno dopo giorno, finche Liabeuf non mise in esecuzione il suo funesto progetto. Bisognava dare un esempio, piu per tagliare l'erba sotto i piedi dell'elettorato, indignato da tanta colpevole debolezza, che per dissuadere gli assassini in erba a passare all'azione. Poiche la ragione di Stato lo obbligava, il Presidente scordo presto i suoi antichi scrupoli etici. Per il boia, gli affari ripresero alia grande. Nel 1909, tredici teste caddero sotto la lama. E altri cento- due condannati a morte restavano in attesa al bagno penale e nel complesso delle carceri dell'esagono. Da qui, si comprende meglio perche il caso Liabeuf imba- razzasse tanto Armand Fallieres. Non concedendogli la grazia, rischiava di attirarsi i fulmini di quella stessa opinione pubbli- ca che, tre anni prima, reclamava a gran voce la decapitazione di Soleilland. Poiche tra il popolino che aveva reclamato la morte del «Mostro del Ba-Ta-Clan», un imperdonabile violen- tatore di bambini, erano numerosi quelli che perdonavano nel loro animo e in coscienza l'assassino di via Aubry-le-Boucher, l'artigiano calzolaio che, nel loro immaginario, non aveva mai avuto niente da perdere, tranne l'onore. E se Miguel Almereyda, abile polemista, aveva deciso di inforcare questo nuovo cavallo di battaglia, era per una giusta causa: 103 Fallieres ha mostrato, in altre circostanze, di saper avere co- raggio e umanita. Ha graziato Soleilland. Nonostante quest' ul- timo fosse un bruto ignobile colpevole di un mostruoso misfat- to. Nonostante l'opinione popolare, turbata da una campagna di stampa, reclamasse la morte del criminale. Non di meno, il presidente della Repubblica ha impedito le basse opere del boia. Oggi tutti gli uomini di cuore, tutti quelli che hanno un senti- mento di giustizia, gli chiedono la grazia per Liabeuf. Dal Libertaire alia Libre-Parole, l'argomento di buon senso fu ripreso da tutta la Stampa. Oramai, quale che fosse la decisione finale, Fallieres appa- riva come una banderuola. E fece bene ad essere maligno chi riusci a predire da quale parte stava per girare il vento. Avendo saputo che la madre di Liabeuf era arrivata a Pari- gi, il gruppo della Guerre Sociale le fece incontrare Caroline Remy, alias Severine, la mattina del 21 giugno. Severine era nel cuore del popolo cio che era stata Louise Michel (morta nel 1905), essendo da oltre trent'anni la santa protettrice di tutte le cause disperate. Sempre pronta a denunciare la repressione contro chi scio- perava, contro gli anarchici che praticavano l'azione diretta, gli indigeni delle colonie, le ragazze-madri e anche gli animali maltrattati, l'amica dello scrittore comunardo Jules Valles rap- presentava l'ultimo rifugio. Spettro imbruttito di una ninfa rivoluzionaria un tempo ci- vettuola, ma la cui abbondante capigliatura nera era ancora ap- pariscente, Severine accolse la vedova Marie Liabeuf a braccia aperte. — Signora, salvate il mio piccolo! Voi ne avete gia salvati molti, salvate il mio. La testa di mio figlio vale come quella di un milionario... — grido la povera madre coi nervi a fior di pelle. — Ecco quello che faremo. Sollecitero un colloquio per voi 104 e per me. Non penso che il Presidente lo rifiutera, rispose con voce rassicurante la pasionaria del socialismo libertario. — Ero come morta, ma voi mi ridate speranza. L'anziana editorialista del Cri du Peuple prese subito in mano la penna. Avendo saputo che il presidente Fallieres era appena diventato nonno, concluse la sua richiesta d'udienza con questo vibrante appello: «C'e un piccolo bimbo in una culla di Versailles, caro a co- lui che dispone della vita e della morte. Nel nome di quest'in- nocente, come lo h il colpevole di oggi, nel nome di questo piccolo bimbo, grazia, Nonno !» La lettera fu resa pubblica, tutti si aspettavano molto da quel patetico incontro. Inutilmente. II presidente della Repubblica non diede seguito a questa ri- chiesta di colloquio, forse troppo occupato a ricevere pressioni di ben altra natura. In effetti, malgrado svariate smentite dell'interessato, si venne a sapere che il prefetto Lepine, nel corso di una riunione segreta in presenza del capo dello Stato e del presidente del Consiglio, aveva messo sul piatto della bilancia le sue dimis- sioni e quelle di numerosi funzionari dell'alta gerarchia poli- ziesca. II Matin aveva anche riprodotto una nota confidenziale a proposito di questa istanza: La maggior parte dei funzionari della prefettura di polizia ri- tiene che s'imponga la rigorosa applicazione della legge se si vuole che gli uomini incaricati di assicurare l'ordine e la sicu- rezza a Parigi possano compiere il loro dovere professionale con la garanzia che il loro mestiere, gia cosi pericoloso, non sara reso ancora piu rischioso in seguito a un atto di clemenza che considerano ingiustificato. Da vent'anni Louis Lepine copriva le pecore nere dell'anti- ca «squadra della buoncostume» e dei suoi successivi derivati. Malgrado le reiterate proteste del consiglio municipale di Pa- 105 rigi, non aveva mai ceduto su quel punto. L'evidente "sbava- tura" all'origine della tragedia di via Aubry-le-Boucher non aveva cambiato nulla. II prefetto difendeva le sue truppe, solo le sue truppe, nient'altro che le sue truppe. E visto che i poli- ziotti, messi quotidianamente in scacco da malfattori sempre piii armati, esigevano un esempio, Liabeuf sarebbe stata la loro vittima sacrificale. Tra le forze dell'ordine si erano levate addirittura voci ano- nime per reclamare il diritto di sparare a vista, anche al di fuori dei casi di legittima difesa. Capro espiatorio ideale, il nostra «assassino di sbirri» avreb- be dovuto pagare per tutti gli agenti assassinati nell'esercizio delle loro funzioni. La testa del «vendicatore coi bracciali di ferro», piu di qualsiasi altra, li avrebbe vendicati del lungo elenco di crimini rimasti impuniti. Benche denunciato da numerosi grandi quotidiani nazionali, questo «odioso scambio» aveva tutte le possibility di riuscita. Nella mattinata di mercoledi 29 giugno, quando il presiden- te Fallieres ancora tardava a rendere pubblica la sua decisione, la prima edizione della Guerre Sociale titolava su otto colon- ne: Grazia per Liabeuf! Non potete ghigliottinarlo! II foglio estremista non aveva il suo stile abituale. Ovunque erano state riprodotte lettere manoscritte dagli accenti patetici, una di Liabeuf al suo avvocato, una di sua madre e una della sua amante, Alexandrine Marcelle Pigeon, alias Didine Cen- drillon, assente nel corso dei due processi e ritrovata in extre- mis da Miguel Almereyda. Avevano deciso evidentemente di toccare le corde della sensibilita. La signora Liabeuf, vedova di un minatore morto per un incidente sul lavoro, aveva tagliato corto, ma mirando giusto:«Salvate mio figlio! E sufficiente che abbiate ucciso quello che l'ha educato!». 106 La prostituta, scartata suo malgrado dal processo in assi- se contra il suo effimero amante, aveva cercato di rimediare: «Giuro che mai Liabeuf e stato il mio protettore, poiche come ho dichiarato al signor Picot al momento del suo arresto, era per me un buon compagno che mi amava e nient'altro, un la- voratore e nulla piu. Jean e diventato folle per essere stato con- dannato ingiustamente». Quello stesso mercoledi 29 giugno, nel tardo pomeriggio, la Guerre Sociale pubblico in tutta fretta una seconda edizione sensibilmente diversa. Un nuovo titolo appariva in prima pagina: Liabeuf sta per essere ghigliottinato! Tutti davanti alia ghigliottina! 107 17. Qualche giorno prima dell'annunciata esecuzione, la reda- zione della Guerre sociale si era riunita nella sala interna di un caffe del quartiere di Montmartre su iniziativa del suo famoso caricaturista, Henri-Paul Gassier, giovane efebo dalla figura longilinea. Frequentatore delle esecuzioni capitali, sembrava persuaso che un pugno di uomini risoluti sarebbe stato suffi- ciente per impedire l'opera del boia. Espose quindi l'audace piano di battaglia ai suoi compagni: — Non c'e che da chiedere a tutti i colleghi dei giornali di sinistra di prestarci il loro lasciapassare. Li affidiamo a qual- che compagno forte e ben determinato che potra attraversare 10 sbarramento degli sbirri senza difficolta andando a piazzarsi 11 piu vicino possibile alia Vedova. Un compare ripassera nel- l'altro senso a ridare i cartellini ai colleghi perche non siano compromessi, se per caso andasse male. E, con un po' di fortu- na, Liabeuf potra scomparire nella ressa generale. Nessuno era davvero convinto della fattibilita di questo pro- getto, tranne l'agente in borghese che origliava qualche tavolo piu in la. Messo subito in allerta, il prefetto Lepine, prendendo la cosa molto seriamente, decise di modificare la procedura d'ac- cesso accanto alia ghigliottina. Nel caso in cui, molto probabi- le, Liabeuf fosse stato ghigliottinato, sarebbero stati distribuiti qualche ora prima due lasciapassari speciali e nominativi per giornale. Questa procedura nettamente piu restrittiva, inaugurata per l'occasione, sarebbe rimasta in vigore fmo al 1939, data del- l'ultima esecuzione pubblica. Come ultima precauzione di fronte alle minacce di attentati anarchici diffuse qua e la, la prefettura aveva fatto avvisare te- lefonicamente diversi reporter che l'esecuzione avrebbe avuto luogo all'alba dell' 1 luglio. Linformazione era falsa, a bella posta. Essa avrebbe anche permesso di misurare «a freddo» la 108 vastita della mobilitazione dei «liabovisti» militanti e di son- dare i loro ipotetici legami con la malavita. II bluff funziono. Gli amici di Gustave Herve si fecero im- brogliare. La seconda edizione speciale della Guerre Sociale, esaurita, poi ristampata e infine distribuita gratuitamente in tutta Parigi in piii di ventimila esemplari, chiamava i cittadini a radunarsi ai piedi del patibolo: II crimine sta per essere consumato. L'esecuzione di Liabeuf, spinto al crimine dall'ignominia del- la buoncostume, e una sfida alia coscienza umana. Al popolo operaio di Parigi, ai suoi amici conosciuti e ignoti, diamo appuntamento, dopodomani mattina all'alba, davanti alia prigione della Sante, in viale Arago, per manifestare la loro riprovazione contro un'infima vendetta della polizia. A sua insaputa, il povero Almereyda aveva appena dato un appuntamento fasullo a una folia di svariate migliaia di per- sone. La mattina del 30 giugno Leduc si reco alia Sante, dove il prigioniero era stato trasferito durante la notte. Nella cella n. 6, riservata ai condannati a morte, Liabeuf subentrava all'assas- sino Dujeu, disertore del battaglione d' Africa e uccisore di una gioielliera invalida che aveva il negozio in via Bondy. La sua pena era stata commutata in extremis in ergastolo, e ora stava navigando verso il bagno penale oltremare. Sopra il letto dove Liabeuf si sforzava di riposare, un dise- gno a matita evocava ancora il soggiorno del future assassino Dujeu nell'inferno disciplinare di Biribi. L'avvocato fu sorpreso nel vedere il suo cliente piii agita- to del solito. Liabeuf infatti aveva appena ricevuto una visita di cattivo auspicio. Dall'entrata dell'abate Geispitz nella sua cella, aveva capito che i sacramenti e le preghiere alle quali l'uomo in nero lo invitava significavano il rifiuto della grazia. Era la prima volta che il cappellano della Sante gli portava il suo sostegno morale. E anche l'ultima, avendolo Liabeuf pre- sto congedato, non senza precisargli che preferiva che nessun 109 uomo di chiesa lo accompagnasse al trapasso. Senza metterci molta convinzione, l'avvocato cerco qual- che formula appropriata per rassicurare il suo cliente. — E inutile, so cosa mi aspetta. A torto o a ragione, Liabeuf non si faceva piii alcuna illu- sione. Solo un miracolo avrebbe potuto cambiare il corso del suo destino. Ma sapeva che quel miracolo era gia avvenuto, qualche se- colo prima, proprio sul luogo del suo crimine? Infatti nel 1309 il cardinale di Saint-Eusebe aveva incrocia- to, in via Aubry-le-Boucher, un noto assassino mentre veniva condotto al supplizio. A quell'epoca i cardinali avevano, come le Vestali dell'antica Roma, il potere di graziare i condannati al castigo supremo, alia sola condizione che tale diritto venisse esercitato al momento di un incontro nato per puro caso. Quel pendaglio da forca fu risparmiato. Rievocando quel gesto di clemenza, un bar di via Aubry- le-Boucher portava ancora, nel 1910, un cappello da cardinale come insegna. E, crudele ironia della storia, era a qualche metro da questa icona pagana che quel forsennato di Liabeuf si era abbandona- to all'imperdonabile carneficina. Nel quartiere Saint- Merri, non avevano mancato di vedere in questa coincidenza la mano della Provvidenza. Rimasto solo in cella, Liabeuf prese un foglio di carta e schizzo con la matita qualche fiore di campo. Non era il suo primo disegno. Diverse opere tappezzavano gia le quattro mura della sua cella. La loro semplicita faceva pensare ai quadri di uno dei suoi contemporanei, il doganiere Rousseau. Come lui, aveva il gusto delle scene simboliche composte senza badare minimamente alle leggi elementari della prospettiva. Su ogni schizzo, a volte colorato di rosso, figurava sem- pre armato dei suoi famosi bracciali. Quello intitolato «Circo Liabeuf» rappresentava l'assassino, nel bel mezzo della pista, 110 mentre faceva saltare il prefetto Lepine in un cerchio per il piacere di un pubblico di graziose. Un altro, «L'Evasione di Liabeuf», dipingeva la partenza in mongolfiera del criminale, mentre gettava sacchi di zavorra sulle impotenti forze dell'or- dine. E ancora, c'era «Corte d'assise Liabeuf», molto realisti- ca del resto, e una «Ghigliottina Liabeuf», che portava questa iscrizione sotto la lama fatale: «Malgrado sia giunta la mia ultima ora, protesto e dichiaro la mia innocenza, non sono un protettore». Come poteva Liabeuf avere ancora il cuore di tratteggiare delle povere margherite sulla carta? La risposta e commovente. II condannato stava decorando la missiva testamentaria che destinava a Lucien Leduc, il suo avvocato: Mio caro difensore, Vogliate accettare questi fiori in mio ricordo. E per me un piacere e impiego il poco talento che possiedo per farvi questi fiorellini che sono il pegno della mia riconoscen- za per voi. Essi sono il simbolo dell'eterno ringraziamento che vi devo per tutto cio che avete fatto per me, per la vostra eloquenza e per l'interesse che avete avuto per me nella mia disgrazia. Vi dono quindi questo mazzolino di fiori perche possa provar- vi sempre che il mio cuore vi e molto riconoscente. II vostro rispettosissimo Liabeuf Questa delicatezza d'oltretomba e opera di un gentiluomo prole tario. Ma colui che sta per morire ha mai agito altrimenti? E mai venuto meno al proprio codice d'onore, di tatto e di coraggio? Spingiamo piu lontano il nostra interrogative Non e forse sta- to fin dall'inizio una vittima della sua buona fede? L'«esca» sincera di una macabra farsa? In altre parole, Liabeuf non e ancora piu innocente di quan- ta egli stesso non creda? Ill Pud darsi che il caso Liabeuf non sia stato seguito dagli avvocati come meritava. II primo, Deloncle, non era presen- te all'udienza correzionale. II difensore della Guerre Sociale, maniaco della sua strategia politica, ha difettato di discerni- mento penale. E l'ultimo, Leduc, malgrado tutta la sua buona volonta, mancava di talento. Nessuno aveva osato spingere fino al limite la sola ipotesi che avrebbe potuto servire a salvare la sua testa: quella della pura e semplice macchinazione poliziesca. Eppure tutti erano concordi nel pensare che, innamorato di Didine Cendrillon, il calzolaio fosse stato arrestato ingiusta- mente dai poliziotti Maugras e Vors. La stampa insinuo anche che questi agenti, abituati a ricattare le prostitute, avessero in tal modo eliminato un importuno. Cosi facendo, avevano reso un favore al magnaccia abituale di Didine, un certo Gaston. Ma immaginiamo per un istante che il protettore, mai ri- trovato ne identificato altrimenti che sotto lo pseudonimo di «Gaston», non fosse che uno straccio rosso agitato dalla po- lizia della buoncostume, un personaggio puramente fittizio. Immaginiamo che quest'inganno avesse consentito all'agente Maugras di non rivelare la sua vera identita: sbirro in apparen- za. . . e protettore «in borghese». Tutto assumerebbe una nuova luce. Le ulteriori disavventure di Didine e della Grande Marcel- le, entrambe messe sotto chiave e poi pugnalate da sconosciu- ti, non avrebbero quindi avuto che un solo scopo: intimidirle per impedir loro di rivelare questo segreto di Stato. Resta il silenzio di Liabeuf su questa delicata questione. Ma e meno inspiegabile di quanto sembri: non era il suo codice d'onore ad impedirgli di «vuotare il sacco»? In effetti, questo gentiluomo proletario non era tipo da de- nunciare chicchessia, neanche il poliziotto protettore della sua arnica. E se, dopo il suo arresto, Liabeuf aveva rifiutato di illu- minare la lanterna della giustizia e pareva che avesse fatto voto di silenzio, forse e il tabu della doppia identita di Maugras che il criminale aveva rifiutato di rivelare a tutti. 112 Ubriaco di vendetta, il calzolaio si era quindi costruito du- rante l'inverno del 1910 dei bracciali chiodati e si era arma- to di un revolver. Anche qui, i testimoni avevano provato che Liabeuf non era stato avaro di confidenze. Tutta la fauna di Sebasto sapeva per filo e per segno dove voleva arrivare. Mau- gras e Vors per primi, questo e certo. Forti di questa preziosa informazione, avevano evitato ogni contatto con l'apprendista forsennato per una settimana. Ogni sera, Liabeuf si aggirava nei caffe dei dintorni provocando. Ma non sapeva che, secon- do un piano dell'agente doppiamente sordido Maugras, stava per essere messo in trappola. Un'occasione favorevole si presento la sera dell' 8 gennaio 1910. Alcuni colleghi di Maugras si erano appostati tutt'intor- no all'osteria delle Caves Modernes, al solo scopo di spingere Liabeuf all'errore per meglio farlo fuori con la scusa della le- gittima difesa. II «vendicatore coi bracciali di ferro» pensava di aver previsto tutto, tranne la sua morte minuziosamente pre- meditata e, alia peggio, mascherata da "errore" dalle oneste guar die. Malgrado le apparenze, questa versione non e per nulla una fantasiosa elucubrazione. Si basa in ultima istanza sulle di- chiarazioni dell'accusato che il giudice Drapier aveva raccolto in ospedale. Nessuno vi aveva prestato la minima attenzione. E pertanto esse tendono a confermare che Liabeuf tento dappri- ma di sfuggire all'assalto dei suoi aggressori, e non rispose al- l'arma bianca se non quando vi fu costretto. Davanti alia trap- pola tesagli da lungo tempo, sempre secondo la nostra ipotesi, non aveva forse il diritto di sentirsi in stato di legittima difesa e trarne tutte le conseguenze, anche le piu sanguinose? Giudichiamo dai documenti: Ebbi appena il tempo di fare qualche passo: mi avevano rag- giunto correndo, mi afferrarono da dietro e lasciarono la presa urlando di dolore. Quanta a me, non pensavo che a fuggire il piu velocemente possibile, quando mi accorsi delle guardie in uniforme che accorrevano, con la sciabola sguainata. . . «Visto che bisogna battersi — mi sono detto — battiamoci». 113 E col trincetto che tenevo nella mano sinistra, mi misi a menar colpi. Allora comincio una rissa terribile: ho inferto colpi, ne ho ricevuti. Spintonato, malmenato, colpito, sono stato trasci- nato nel corridoio di una casa vicina. Ho continuato a difendermi come meglio potevo e, senza ren- dermi conto di quanto stava succedendo con esattezza, ho col- pito con tutte le mie forze. Una mano mi spinse e caddi sui gra- dini della scala. Allora sentii penetrarmi nel petto la punta di una sciabola. Con uno sforzo supremo mi rimisi in piedi. Preso dal panico, credendomi perduto, scaricai per due volte sul grup- po che mi circondava il revolver che tenevo nella mano destra. In un batter d'occhio fui atterrato, disarmato e sentii che mi stavano colpendo ancora col mio stesso trincetto. Senza scagionare a colpo sicuro Liabeuf, questo racconto sconvolgente consente in maniera retrospettiva di porre la se- guente equazione: se l'agente Maugras avesse proprio intessu- to la nera trama che gli attribuiamo, allora Liabeuf uscirebbe da questa tragica storia «immacolato come la neve». Ma, in balia degli sviluppi politici del caso, nessuno si era preoccupato di avanzare una simile ipotesi. Dalle 10 della sera di giovedi 30 giugno una folia burrasco- sa comincio a riempire i viali Saint- Jacques e Arago, all'an- golo dei quali avrebbero eretto ben presto il patibolo. Celebri scrittori arrivarono in automobile, sgualdrine di lusso in taxi, giovani anarchici irsuti in bicicletta e temibili apache scesero dai bastioni a piedi, gia in centinaia ad occupare il selciato. Verso mezzanotte, si noto un movimento di rifiusso. Giorna- listi ben informati avevano fatto passare la notizia. Non sareb- be stato quella notte. Era rinviato. Una fmta rissa era scoppiata davanti al capannone dove la famosa ghigliottina era deposita- ta. L'uscita del carro che doveva trasportarla ai piedi della San- te era stata impedita da una manifestazione spontanea. Correva voce che il prefetto Lepine esitasse a sfidare la sommossa. Nessuno dubitava che avesse fatto retromarcia solo per me- glio colpire al momento opportune una notte piu tardi. 114 La folia si disperse a piccoli gruppi. Alcuni, la maggior par- te, avevano una lunga strada da percorrere fino ai loro tuguri di Belleville o di Menilmontant. Gli altri, arrivati la per lo spet- tacolo, preferirono concludere la nottata a Montparnasse, in qualche locale alia moda, fra gente danarosa. Non era che un rinvio. La Guerre Sociale LA MORT DUN BRA^E U tiiiiii ft liiliir. ti fiiiiui ii u\m 115 18. Secondo gli usi e i costumi del teatro borghese, «la prima» ha luogo il giomo dopo la prova generale. La tradizione fu rispettata. A mezzanotte e mezzo si alza il sipario: Anatole Deibler ha gia fatto la sua entrata nel capannone di via de la Folie-Re- gnault, tra gli strilli di qualche gruppo di curiosi ben informati. Le porte del magazzino si aprono per lasciar passare un primo carro trainato da due cavalli, uno dei quali con la criniera bian- ca, battezzato dal suo padrone Fend-l'Air. Si direbbe un carrozzone zingaro condotto al deposito da cinque agenti in bicicletta. E la che giacciono, ancora smon- tati, i «legni della giustizia», come veniva chiamata la celebre macchina del dottor Guillotin, la «Vedova». Segue un secondo veicolo, alia cui testa prende posto il boia. E il guardaroba degli aiutanti dell'esecutore. Due plotoni di guardie a cavallo affiancano il sinistro corteo che percorre via Keller, poi viale Ledru-Rollin, prima di attraversare la riva sinistra. Tenuta a debita distanza, una folia compatta si raggruppa in coda al corteo, proprio dietro gli inviati della grande stampa, i quali si spostano in taxi. Di tanto in tanto qualcuno si drizza sul predellino di una vettura per lanciare un tonante «Abbas- so Deibler! Viva Liabeuf!». Ma, durante gli interminabili tre quarti d'ora del tragitto, il corteo manterra una sorta di muta gravita. E stato scelto, come per l'ultima esecuzione del parricida Duchemin, un piccolo perimetro delimitato da quattro ippo- castani, in via della Sante, ai piedi di un muro esterno della prigione, a eguale distanza dal portone della fortezza e da via- le Arago. La, lontano dalle case, nessun testimone indiscreto avrebbe turbato la cerimonia. Da una parte, l'alta muraglia della prigione. Dall'altra, il convento Saint- Joseph-de-Cluny. 116 Fin dal calar delle tenebre si formano piccoli assembramen- ti su tutte le strade che conducono al perimetro proibito. Ma il prefetto Lepine ha fatto le cose in grande. Quasi ottocento poliziotti in uniforme a formare diversi sbarramenti, aiutati ec- cezionalmente dai legionari a cavallo della gendarmeria della Senna e dalla guardia repubblicana. Sono state mobilitate le divisioni di fanteria della capitale. I pompieri sono sul piede di guerra, pronti ad affiancare gli agenti con le loro potenti lance antincendio. Hanno pensato proprio a tutto, tranne che ad avvisare i lavoratori della rete viaria che hanno passato il pomeriggio a sistemar pietre sul viale Saint-Jacques. Come riporta il poeta e future compagno di sogno dei sur- realist^ Andre Salmon, testimone appassionato di questa ve- glia in armi: La folia, che capisce in fretta cio che la riguarda da vicino, fin dalla mezzanotte rideva, come in amore, delle belle pietre nuove e appuntite; pietre da poter afferrare e lanciare sui ser- vitori dell'ordine. In un caffe di via Saint- Jacques, alcuni sterratori bevono un ultimo bicchiere attorno al bancone, in attesa. L'entrata di al- cuni ricchi festaioli accende un alterco. Non e bello esibire una felicita fuori luogo. I proletari «coscienti» portano tutti il nero, simbolo del lutto o dell'appartenenza anarchica. Quella notte, alcuni nottambuli arzilli, violenti amatori di macabre farse e dandy un po' brilli, avrebbero imparato a proprie spese che il popolo di Parigi non ha perdonato alia borghesia i massacri di Versailles. Su viale Arago il comico Delphin, famoso per la sua statura, intrattiene una folia ancora rada. Un cordone di agenti ricaccia il nano e il suo pubblico verso piazza Denfert-Rochereau e via Broca. Ridera bene chi ridera per ultimo. Di minuto in minuto, la massa che si ingrossa attorno a Lion de Belfort e quella delle classi considerate "pericolose". Infatti, oltre ai militanti rivoluzionari, e calata la plebaglia di periferia. Sotto lo sguardo preoccupato degli agenti, i sindaca- 117 listi dell'azione diretta incrociano le teste calde dei bassifondi, i partigiani della Guerre Sociale si mescolano alle peggiori ca- naglie recidive, gli idealisti «senza Dio ne padrone» fraterniz- zano con ladruncoli senza fede ne legge. D'altronde Gustave Le Bon, apprezzato sociologo dell'elite della Belle Epoque, aveva sottolineato qualche anno prima il pericolo che facevano correre alia societa le pulsioni «inco- scienti che regolano la psicologia di queste folle eterogenee». Ecco l'oracolo sul punto di diventare realta. Questa folia riconcilia al proprio intemo i due nemici giurati della III Re- pubblica, i ribelli "politici" e quelli comuni. Presto, alle prime luci dell'alba, dopo un'ultima carica della polizia, si vedra Rene Valet detto Pel-di-Carota, una delle fu- ture comparse della banda Bonnot, salvare a stento il deputato Jean Jaures da una bastonatura in piena regola. Sono le due del mattino. Un primo carro si sistema davanti al portone della Sante. II secondo veicolo si ferma in mezzo al quadrato predisposto per l'esecuzione, tra i quattro ippoca- stani. Per pudore o per prudenza, i lampioni a gas sono spenti attorno al perimetro. E quindi al chiarore delle lanterne che i tre aiutanti del boia, in uniforme blu e nera, cominciano a montare la ghigliottina. Tutt'intorno, alcune figure formano un picchetto d'onore. Sono i centocinquanta «invitati» alio spettacolo funebre, che hanno dovuto passare quattro sbarramenti prima di accedere ai loro posti prenotati. Centocinquanta fra deputati, giornalisti e privilegiati a vario titolo, e la ristretta quota stabilita il giorno precedente dal prefetto Lepine che, con magnanimita, ha per- fino fornito un lasciapassare al piu anziano dei collaboratori della Guerre Sociale. Piu appartato, Deibler si appresta da un momento all'altro a verificare con la sua livella ad acqua la buona stabilita della macchina. All'occorrenza, fa aggiungere una zeppa o stringere un bullone. L'assemblaggio dura un'ora buona. Viene provata per due 118 volte la guida di scorrimento. Prove finali. Deibler si volta con soddisfazione verso il suo pubblico. Dappertutto, incrocia oc- chi sfuggenti. Anche gli agenti di guardia si girano. Una super- stizione vuole che lo sguardo del boia porti male. Al di la degli sbarramenti e dei numerosi cordoni di gen- darmi, il profilo di un intero popolo simile ad ombre cinesi. Si riconosce talvolta qualche celebrita che subito si confonde nella folia anonima. Ma e soprattutto Severine, in abito grigio, che i miserabili dei sobborghi indicano col dito e abbracciano con gli occhi solamente. Altri rivoltosi insonni si accalcano nei paraggi, giovani iconoclasti che nulla ancora contraddistingue: Victor Serge, Pablo Picasso, Blaise Cendrars, Lenin e, proprio lui, il piccolo Jean Vigo, che la compagna di Almereyda non ha potuto affidare ad altri. La ribellione che piu avanti li animera trovera qui una fonte senza pari. Dalla sua residenza di Neuilly, il nemico delle leggi ricon- vertito all'enfasi nazionalistica, Maurice Barres, «incuriosito da quel patetico evento», aveva anche progettato di andare ma, agorafobico di natura, lo scrittore di destra si sarebbe fatto rac- contare l'evento da un testimone dell'altra sponda, il simpatiz- zante libertario di allora Andre Salmon. AH'improvviso, si sente uno scoppio su un lato del viale Saint-Marcel. Un brivido pervade la folia. Un attentato del- 1' ultima ora? Falsa gioia per alcuni, falsa allerta per altri; il dubbio e pre- sto dissipate Si tratta della camera d'aria della bicicletta di un agente. Una semplice toppa bastera. In mancanza di meglio, i reporter annotano l'incidente sul loro taccuino: «Scoppio di pneumatico, ore 3 del mattino». Nello stesso momento il direttore della Sante, Payant, ac- compagnato dal capo medico Griffon, si reca nella cella nume- ro 6 dove Liabeuf dorme ancora. — Fatevi coraggio — mormora il direttore scoprendolo. 119 — Signori — risponde il condannato a morte alzandosi — per andare incontro alia morte ne avrd tanto quanto ne ho avuto per darla. II procuratore della repubblica entra a sua volta. Liabeuf lo riceve in braghe: — Vi impedisco di riposare? Dormirete meglio domani... E anch'io. Gli viene offerto un bicchiere di rum. Rifiuta. La tradiziona- le sigaretta? Declina ancora. Solo un bicchiere di latte. In attesa del suo avvocato, prende la penna e, con la sua grossa scrittura diligente, scrive: Povera Mamma, la mia ultima ora e arrivata, ti lascio questa ciocca di capelli e ti chiedo ancora perdono; ma rassicurati. Non sono, per il mio delitto, che una vittima della buoncostume e anche ora che sto per andare al patibolo, ci tengo a dirti che questo non fara mai di me un protettore. Percio concludo, cara mamma, chiedendoti ancora perdono cosi come alio zio e a mio fratello. Addio, poiche mi chiamano. Ti lascio. Mi aspettano. So che perdonerai il tuo povero figliolo che e una vittima delle depo- sizioni menzognere degli agenti della buoncostume. Leduc alia fine arriva e affida a Liabeuf le due fotografie che si e procurato il giorno prima. Quella della madre, che il condannato bacia. Quella di Didine, che fissa con aria malin- conica. Infine indossa una giacchetta spiegazzata che fa parte dei suoi effetti personali. E si dirige verso la cancelleria dove avra luogo la preparazione del condannato in presenza di Deibler. Una guardia vorrebbe sostenerlo nel suo cammino. — No grazie, non ho bisogno di aiuto. Girandosi verso gli ufficiali che lo accompagnano, aggiunge: — Ho commesso il mio crimine a sangue freddo, sto per incontrare la morte a sangue freddo. Tra qualche istante, il boia strappera con un gesto secco e meccanico il colletto della sua camicia. 120 19. Sono le 4 meno venti in quel primo mattino del 2 luglio 1910. La voce e sempre piu sicura. II condannato a morte sta per uscire dal grande portone del carcere. Solo qualche centi- naio di metri lo separano dal patibolo. «Assassini ! Viva Liabeuf ! », il capannello si trasforma presto in dimostrazione di forza. A contatto con ogni barriera, la ma- rea umana minaccia, insulta, quasi trabocca. Echeggiano due detonazioni. Questa volta, sono proprio colpi d'arma da fuoco. Un uomo insanguinato si accascia sul selciato, all'angolo tra via Leclerc e viale Arago. Viene raccolto da due guardie. Col- pito al collo da un proiettile, l'ispettore della sicurezza Ore- stani viene condotto aH'infermeria della Sante. E chiaro che con lui si voleva colpire la brigata del commissario Guichard, incaricato in particolare della sorveglianza degli anarchici. Informata che la vittima fa parte della polizia, la folia si mette ad applaudire e a battere i piedi: trentamila bocche si spalancano in un'unica fragorosa risata. La misura e colma. II prefetto Lepine ordina 1' immediate scioglimento del corteo sedizioso. Con la baionetta, e anche con le pallottole, se necessario. Le pietre rispondono alle lance antincendio. I bastoni di for- tuna alle sciabole. I pugni ai calci di fucile. La lotta e impari per defmizione. Alcuni semplici curiosi, arrampicati in alto sugli ippocastani del viale, saranno i primi a fare le spese della cieca repressio- ne della polizia. La sommossa e all'apice, quando spuntano le prime luci del giorno. Bisogna farla finita prima che la massa operaia, che sta per andare a svolgere il suo lavoro quotidiano, vada ad aggiungersi all'avanguardia «liabovista». Con la testa attaccata alle sbarre della sua cella, un uomo non si e perso neanche un istante di quei clamori soffocati. Un uomo che le circostanze hanno reso semplice testimone impo- tente dell'insurrezione che si affievolisce ai piedi delle mura. 121 E Gustave Herve, murato nella sua notte bianca. La maggior parte dei rivoltosi sono gia rifluiti dalla parte di viale Raspail, quando Liabeuf, con le catene ai piedi e le mani legate sulla schiena, scende la scaletta dietro il carro di Deibler. Ora avanza col passo malfermo di un animale ferito. Tra lo scarno pubblico autorizzato ad assistere al suo sup- plizio, tutti si scoprono il capo. Liabeuf, coi capelli arruffati e il viso reso irriconoscibile da una barba incolta di tre giorni, getta un'occhiata alia macchina e s'inarca selvaggiamente. II forsennato indietreggera davanti alia fatale conclusione piii volte invocata? No. Si gira con una spallata, cerca il pubblico perso nella pe- nombra e approfitta di una breve tregua per rivolgersi agli ulti- mi testimoni della sua buona fede. — Non e con la mia esecuzione che si potra dire che sono stato un protettore — urla ai presenti gonfiando il petto — No, io non sono un magnaccia. Gli aiutanti del boia lo spingono verso la pedana. E sulla ba- scula su cui lo fanno stendere, Liabeuf lancia un urlo terribile che raggela il pubblico impaurito. Deibler esegue il suo compito; la lama percorre la china fa- tale; la testa piomba nel cesto. A due passi, un piccolo uomo dagli occhi vivaci non ha perso niente della scena. Stringendo maldestramente il suo cappello sul petto, sembra dissimulare qualcosa. II reporter fotografo Levillain ha appena fatto uno scatto grazie a un apparecchio nascosto nel suo copricapo, abilmente contraffatto. Una mano si posa decisamente sulla sua spalla. Sa cosa ri- schia se il suo sotterfugio venisse scoperto. — Voi, li, cosa state facendo? Levillain si volta e riconosce nel suo vestito scuro l'agente Maugras. — E voi, che ci fate voi qua? — risponde a tono il fotografo 122 — Non vi vergognate? L'altro si allontana mogio. Per il reporter un solo ramma- rico: non aver colto dal vero il mortale nemico di Liabeuf in flagrante reato di «voyeurismo speciale». I tre «corvi» che assistono Deibler lavano la macchina con un gran getto d'acqua e spargono sabbia sul terreno. Venti gendarmi a cavallo, con la sciabola sguainata, vanno ad assicurare il trasporto del corpo mutilato. All'alba, la scor- ta attraversa uno scenario apocalittico: strade disseminate dei proiettili piu disparati, di panche divelte, di scarpe perdute nel panico. Gli ultimi irriducibili sono fuggiti verso il quartiere latino, lasciando dietro di se decine di feriti a cui gli infermieri dell'ospedale Cochin hanno gia portato i primi soccorsi, sotto l'occhio inquisitore degli agenti di polizia. Lo squadrone entra nel cimitero di Ivry alle 6 del mattino e si dirige verso «l'angolo dei suppliziati», una sorta di prato in disparte con tombe ordinarie dove le spoglie mortali di Lia- beuf, deposte in una bara di legno bianco, vengono seppellite frettolosamente. Senza nessuna cerimonia. Un paio d'ore piu tardi, un piccolo gruppo di individui dall'aria stravolta penetra nel cimitero. In testa Miguel Alme- reyda, Victor Meric, futuro scrittore pacifista, e Henri Fabre, aviatore dilettante e direttore dell' 'Homines du jour. Raggiun- gono il «campo di rape» dove Liabeuf gia riposa nel piu terri- bile degli anonimati. I giornalisti militanti depongono due fasci di fiori freschi sul quadrato di terra livellato da poco. Su alcuni nastri neri spice ano bianche lettere maiuscole: A Liabeuf, Vittima degli Apache delta Buoncostume e: A Liabeuf, odiosamente assassinato 123 II guardiano del cimitero av visa subito le autorita. Si av via un negoziato tra i giomalisti e un inviato della prefettura. Si deci- dera di lasciare le corone, ma di cancellare le scritte sediziose. «Quando ritomai al mattino in quell'angolo di viale Arago — ricordera negli anni 20 il rivoltoso d'allora e future mili- tante bolscevico Victor Serge — un grosso agente municipale, in piedi sullo strato di sabbia appena gettato sul sangue, stava calpestando accuratamente una rosa». Le Petit Parisie wi~ - >f mw Le plus fort Tiragi: den Jonruaux du Monde cntier ^ SD1T10S DS PABIS [.AsH."-WN l>K L'SGKNT DEBAV Manages lointams ■ 20. La mattina del 4 luglio 1910, l'undicesima camera correzio- nale della Senna vide comparire una serie di accusati di nuovo genere. Albert Jacquot, garzone di cantina, era stato arrestato in via de la Glaciere, poco dopo l'esecuzione. Per aver gridato «Viva Liabeuf!...Assassini!...» si becco quindici giorni di prigione. Emile Barbier, fattorino, si prese la stessa pena per un roboante «Morte agli sbirri!». Jean Heron, bracciante, che aveva fatto il gesto di premere il grilletto sotto il naso di un poliziotto gri- dando un inoffensivo «Pam!Pam!», fu condannato al doppio. Se a qualcuno l'elenco di queste condanne fa pensare agli inventari poetici di Jacques Pre vert, il loro numero e la severita delle sentenze consentono anche di misurare l'importanza che i magistrati davano alia postuma sopravvivenza di uno sponta- neo «liabovismo» tra gli strati popolari. Di tutt'altro stile, il numero speciale della Guerre Socia- le che riportava la sommossa di viale Arago e l'articolo «La morte di un coraggioso» aveva inserito a fondo pagina una partecipazione alquanto provocatoria: Porgiamo le nostre piu sincere condoglianze all'infame che, gettatosi come una bestia feroce sui manifestanti, e stato fer- mato decisamente dalla prima parola del cittadino Browning. Si era appena saputo in effetti che l'ispettore Orestani era deceduto in seguito alle ferite riportate. Era necessario prendere severi provvedimenti prima che «l'esempio dell'apache» facesse scuola tra gli anarchici e i malfattori associati. La settimana che segui l'esecuzione di Liabeuf non fu di tutto riposo. Sostituendosi nell'opera di agitazione politica de- gli ultimi mesi, gli apprendisti furfanti di Saint-Merri fecero ancora parlare di se. Non passava giorno senza che un «vendi- catore di Liabeuf », proveniente dalla piccola congrega di fara- butti, non tentasse qualche prodezza. 125 3 luglio, ore 6: Victor Beaudet, pregiudicato, 34 anni, si pre- cipita col coltello in mano sui due agenti di guardia in via Au- bry-le-Boucher, gridando «Morte agli sbirri! Viva Liabeuf !». Autorizzati da una recente nota ufficiosa della prefettura, i poliziotti sfoderano le armi riuscendo a tenere a bada il cri- minale. 4 luglio, orel9: Leontine Serdon, prostituta, ferisce con un'arma da taglio al fianco sinistro Cesar Willen, calzolaio e noto confidente del commissario Picot. Nel corso della rissa, un'altra prostituta, Louise Mallet, strappa a morsi l'orecchio destro del brigadiere Stern. Interrogate dal giudice Drapier, dichiareranno entrambe di aver voluto «vendicare il Ciabat- tino». 5 luglio, ore 13: Marcel Sextius, apprendista falegname, 17 anni, pugnala l'agente Caille all'entrata deH'ufncio di polizia del III arrondissement. Acciuffato poco piu in la, giustifica il suo gesto con queste parole: «Se non fosse stato quello sbirro, sarebbe stato un altro. Viva Liabeuf! Abbasso Deibler! Abbas- so la ghigliottina!». 7 luglio, ore 9: Maurice Bourbier, disoccupato, 19 anni, spa- ra due colpi di revolver contro un'auto della polizia che sta risalendo via di Rennes. Viene subito bloccato da due agenti di ronda nei dintorni. In una lettera che ha in tasca, spiega il suo gesto omicida e suicida alio stesso tempo, prima di concludere con queste due rituali parole: «Viva Liabeuf !». 8 luglio, ore 22: Henri Bonnet, manovale, 21 anni, viene interrogato presso l'Ami Paul dopo aver minacciato di morte gli agenti in borghese che hanno condotto Liabeuf al patibolo. Larresto finisce in una zuffa tra una dozzina di noti apache e la brigata del IV arrondissement al complete Si scoprira che la provocazione fa parte di un piano premeditato da tempo. Bonnet ha infatti una corda, con cui avrebbe voluto «prendere al laccio», stando alia sua dichiarazione, il gruppo di agenti. 9 luglio, ore 19: Georges Cottard, protettore di 33 anni, sgozza in un androne di via Quincampoix un ambulante delle Halles, sospettato di aver denunciato il liabovista Bonnet. In- 126 terrogato poco dopo il delitto, il forsennato riuscira a ferire la mano sinistra del brigadiere Fevrier col suo coltello a serrama- nico. Poco piii tardi, Yan Schlinski, un ladro di 18 anni, attacca l'agente Bourget con un tirapugni. Rastrellamenti sistematici nel quartiere di Saint-Merri por- ranno fine a questa «lista nera» di cui la stampa fa un gran par- lare. La calma tornera ben presto nei sordidi vicoli del ventre di Parigi. Con grande rammarico dei quotidiani popolari, iXfeuilleton Liabeuf non avrebbe avuto altri capitoli. A meno che non si ritenga che l'epopea sanguinosa della banda Bonnot, che avrebbe alimentato le cronache francesi un anno piu tardi, abbia trovato la sua origine nell'emozione su- scitata dalla leggenda del tragico forsennato. In effetti, a parte Bonnot, tutti gli altri «banditi in automobile* hanno assistito da lontano all'esecuzione di Liabeuf e, molto da vicino, alia sommossa che e scaturita. Traendo le conclusioni dell'esecuzione del «bandito virile» Liabeuf, un certo Victor Kibaltchich, alias Victor Serge, testa pensante degli «illegalisti» libertari, all'epoca aveva concluso dalle colonne dell' Anarchie: Vincitore o vinto, non e forse da preferire un destino da cri- minale al noioso vegetare o all'agonia infinitamente lenta del proletariato che morira abbrutito e pensionato, senza aver ap- profittato della vita? II bandito, almeno, si mette in gioco. Ha qualche speranza di vincere. E quanta basta. Quasi un mese e trascorso dall'esecuzione di Liabeuf. Chi pensava ancora a quel ciabattino, santo e martire per alcuni, apache e sanguinario per altri? In apparenza nessuno. E tuttavia. II presidente della Repubblica aveva ben presto imparato a sue spese che non si seppellisce cosi facilmente una leggenda. II 26 luglio 1910, Fallieres concesse la grazia al soldato Graby, che aveva selvaggiamente assassinato una donna di 127 quarant'anni, Louise Gouin, in uno scompartimento del treno Fontainebleau-Parigi. La notizia aveva fatto il giro delle reda- zioni con la rapidita di un fulmine. Era sconcertante come il capo dello Stato osasse sfidare la coscienza popolare. Usava forse due pesi e due misure? Una testa caduta troppo presto in disgrazia, l'altra salvata per troppa clemenza? Ma l'ingiustizia era ancora piu flagrante. II marmittone Graby, condannato a morte da un tribunale militare, aveva in effetti l'insperata fortuna d'essere figlio e cugino di due alti funzionari della prefettura. Ed era ufficial- mente «in ragione dei servizi resi» dalla famiglia che il prefet- to Lepine aveva, per una volta, una volta di troppo, sollecitato la compassione presidenziale. La stampa unanime fece il raffronto e protesto energica- mente. La Guerre Sociale titolava, come nei giorni migliori del caso Liabeuf: "II trionfo dello sbirro"! In un certo senso, era quasi meglio che Liabeuf non avesse dovuto subire da vivo questa nuova conferma di ingiustizia. Marie Liabeuf, fortemente provata dai nuovi sviluppi, mori di crepacuore alia fine dell'estate del 1910. Secondo le sue ul- time volonta, fu seppellita con le lettere che suo figlio le aveva spedito dal carcere. 128 EPITAFFIO La memoria di Liabeuf non sopravvisse ai conflitti che do- vevano chiudere la parentesi della Belle Epoque. Gli scampati all'ecatombe nazionale del 1914/18 dimenticarono in fretta il modesto omicidio di via Aubry-le Boucher. Solo la sanguinosa epopea della banda Bonnot seppe cattu- rare l'attenzione di biografi e romanzieri del dopoguerra. La leggenda del «vendicatore coi bracciali di ferro» spari cosi dal- le coscienze a vantaggio di un'altra, quella dei primi «banditi in automobile»... l'ultima generazione dei «liabovisti». Curiosamente, e nella ristretta cerchia d'avanguardia dei surrealisti che troveremo i rari «vendicatori» letterari dell'in- degno oblio in cui era precipitato Liabeuf nel corso degli anni 1920-1930. In effetti si deve a Robert Desnos, figlio di un pollivendo- lo delle Halles e nato in via Saint-Martin, un breve ricordo deH'«ammazzasbirri» in due poesie intitolate Quartier Saint- Merri e Rue Aubry-le-Boucher. Altri due compagni di strada del surrealismo lo hanno ricordato nei loro scritti: l'effimero poeta e affermato autore di romanzi polizieschi Leo Malet e lo scrittore di aforismi belga e amico di Magritte, Louis Scu- tenaire. Per concludere questo piccolo pantheon delle arti e lettere liaboviste, ricordiamo infine la frecciata maliziosa che Louis Ferdinand Celine indirizzo a mezzo stampa a Robert Brasil- lach nel giugno del 1939: «Siete forse piu robusto di un com- missario di polizia? un nuovo Liabeuf. . .». Sono domande senza risposta. 129 APPENDICE 1. Confessione scritta di Liabeuf, la Sante, senza data L'errore degli agenti non e che un errore volontario, vole- vano sbarazzarsi di me sostenendo che facevo troppo lo spac- cone. Mentre lavoravo, non riuscivo a dimenticare l'idea di ven- dicarmi contro i due agenti che mi avevano fatto condannare da innocente, al punto da non sapere cosa stessi facendo. La- voravo a un paio di scarpe perche era il mio mestiere ma non avevo la testa sul lavoro. Mi sono fatto assumere da un padrone col nome di Ravinet per depistare la polizia, anche se non vivevo piu. Ero come im- pazzito, non pensavo che a vendicarmi, perche bisogna essere l'ultimo dei vigliacchi per avermi arrestato e fatto condannare, sapendo che ero innocente semplicemente perche a loro spia- ceva che io facessi lo spaccone, come hanno detto. Durante la mia permanenza in prigione, avevo gia pensato a come fare per poter lottare nel modo piu efficace possibile, sapendo che avrei avuto a che fare con piu nemici alia volta, e l'idea di farmi dei bracciali pieni di punte mi e venuta in prigione pensando ai collari dei cani fatti nella stessa maniera. Pensavo che sarebbe stato difficile mettermi le mani addosso se fossi stato coperto da quegli arnesi. Alia mia uscita dopo tre mesi di prigione me ne fabbricai un paio, quelli piu piccoli. Quanto ai grandi bracciali, li fabbricai dal mio padrone, in via dell'Oreillon, durante la sua assenza. Gli operai, incuriositi, mi domandavano per cos'era. Io rispondevo: e per cardare i materassi. Ci ho messo all'incirca quattro giorni per terminar- li. Durante questo periodo, avevo dato un trincetto da affilare fino alia punta raccomandando che tagliasse bene, e che non 130 badavo al prezzo. Ho comprato la mia rivoltella al mercato di Bicetre domenica 2 gennaio e l'ho pagato 10 franchi. Saranno state circa le sei. Durante il tempo che sono rimasto al caffe, venni a sapere che c'erano alcuni agenti della Sicu- rezza che mi aspettavano alia porta. Mi informal sui loro nomi e mi dissero che si trattava di Mastino e Pappagallo. Risposi: non sono loro che cerco, non li toccherd. Prima di partire mi informal di dove fossero alio scopo di evitarli. Venni a sapere che erano appostati all'angolo di via Quincampoix. Mi son detto: per evitarli, prendo via Sain-Mar- tin. Non avevo fatto ancora dieci metri che ho sentito correre dietro di me. Mi girai di scatto e scorgendo Mastino e Pappa- gallo che venivano verso di me, con l'evidente intenzione di arrestarmi, gettai la mia mantella all'indietro e li attesi a pie' fermo. Pappagallo voile afferrarmi per primo, ma si feri con le punte dei mie bracciali. Nello stesso momento gli diedi un col- po col calcio della rivoltella e lui lascio la presa, Mastino mi si lancio addosso per afferrarmi, ma si feri coi miei bracciali. Nello stesso momento, Mastino si mise a gridare. Arrivarono alcune guardie a passo di carica e con la sciabo- la in mano. Fu in quel momento che colpii come potevo con il mio trincetto Pappagallo e Mastino. In seguito a quella battaglia che si svolgeva con continui cambiamenti di scena, fui spinto e obbligato a entrare nel cor- ridoio del numero 4 di via Aubry-le-Boucher. Nello stesso momento gli agenti entrarono con la sciabola sguainata e fui colpito al petto. Caddi sui gradini della scala. Fui disarmato del mio trincetto, ma tenevo sempre il revolver nella mano de- stra. Sentii allora una guardia che gridava: «potete entrare: e disarmato». Fu allora che Mastino e una o due guardie rientrarono per arrestarmi. E solamente in quel momento che feci fuoco per due volte su Mastino. Ricevetti un colpo di trincetto nel petto. Persi le forze, mi mancd il respiro, abbandonai la lotta. Affer- mo di non aver fatto uso del mio revolver prima di essere ferito al petto con la sciabola. 131 2. Estratti dal registro del commissariato di Saint-Merri Liabuef e stato arrestato P8 gennaio alle 7 e 25 della sera in via Aubry-le-Boucher n. 4, per tentato omicidio. Aveva le braccia e gli avambracci ricoperti con guaine di cuoio irte di borchie di circa 10 mm di sporgenza. Era armato con un re- volver detto hammerless e un trincetto dal manico robusto. Al momento del suo arresto, era ferito da un colpo di sciabola che gli aveva sferrato al petto la guardia Fevrier. E stato con- dotto all'ospedale maggiore, dove e stato ricoverato nella sala St-C6me. L'agente Deray, ferito da Liabeuf, e stato trasporta- to all'ospedale maggiore, sala St-C6me, dove e stato operato d'urgenza e non ha potuto essere ascoltato. E deceduto il 9 del corrente mese alle 5 del mattino. Aveva nel petto otto tagli prodotti da colpi di trincetto e due pallottole che l'hanno ferito al ventre, perforandogli l'intestino in quattro punti. La guardia Fournes, sentita in sala St-C6me, ha dichiarato: «Con Deray, siamo stati avvertiti che un individuo che si tro- vava nel locale del n. 12 di via Aubry-le-Boucher, da Ajalbert, aveva dichiarato a piu riprese che voleva stendere un mucchio di sbirri, e che era armato di pugnale e revolver. Essendo in sorveglianza, l'abbiamo visto uscire dal locale e ci siamo ac- corti che era armato di un trincetto. Deray ha cercato di bloc- cargli le braccia mentre io lo prendevo alia gola. Deray e stato ferito dal trincetto e l'individuo mentre si dibatteva ci ha spinti nel corridoio del n. 4 di via Aubry-le-Boucher. Ho tentato di disarmarlo, ma sono stato io stesso colpito dal trincetto sotto la gola e al braccio sinistro. Ho dovuto abbandonare la lotta nel momento in cui l'individuo ha sparato». Fournes e stato ferito da un colpo di trincetto nella parte molle del braccio sinistro e con un altro colpo della stessa arma sotto la gola sulla parte destra. L'agente Fevrier ha dichiarato di avere, ieri sera, alle ore 8, ricevuto l'ordine di recarsi all'angolo tra via Quimcampoix e via Aubry-le-Boucher per andare in aiuto dei suoi colleghi De- ray e Fournes, che stavano sorvegliando un individuo seduto 132 nel bar di via Aubry-le-Boucher n. 12. Ha visto quell'indivi- duo uscire e Deray e Vandon gettarsi su di lui. Fournes si e ag- giunto ai colleghi in quel momento e ha visto l'individuo fare il gesto di colpire Deray, ma non ha potuto vedere se era ferito. Nel divincolarsi, l'individuo ha trascinato gli agenti al n. 4, nel corridoio del quale si e rifugiato e ha ferito svariate volte Deray. Quando e arrivato vicino al gruppo, ha sentito Four- nes dire: «Sono ferito», e Deray dire «Lo teniamo». Vandon si era gettato su Liabeuf che aveva steso sulle scale. Io credevo che il collega Vandon fosse ferito a morte. Esplose un terzo colpo d'arma da fuoco e Boulot si volto dicendo «Sono stato colpito». In quell'istante, trovandosi solo faccia a faccia con l'individuo che gli puntava contro la rivoltella, tiro di sciabola e lo colpi al petto. foto segnaletica di Liabeuf 133 Stampa Grafica Acrata Roma, gennaio 2012